Il referendum dell’Ecuador
L'Ecuador approva il referendum costituzionale voluto dal presidente Rafael Correa
di Orsetta Bellani
In Ecuador è passato il referendum proposto dal Presidente Rafael Correa (del partito di sinistra Alianza País), che tra le altre cose prevedeva alcuni emendamenti alla Costituzione. La consultazione, che si è tenuta sabato, ha creato polemiche e fratture in un paese in cui il presidente ha sempre goduto di grande popolarità: vedeva contrari non solo la destra, la gerarchia cattolica, i media privati e i movimenti indigeni, ma anche una parte della sinistra parlamentare. Il risultato ha comunque confermato che Correa continua ad avere l’appoggio di buona parte della società ecuadoriana.
Il referendum contemplava dieci quesiti: cinque riguardavano questioni secondarie, come la proibizione delle corride e dei casinò, mentre le altre prevedevano sostanziali riforme costituzionali, tra cui alcune al sistema giudiziario. Secondo gli avversari del Presidente, il tentativo (riuscito) di Correa è quello di accentrare più poteri su di sè attraverso il controllo della Magistratura, e di restringere alcune libertà civili prendendo a pretesto l’insicurezza. Il presidente è anche accusato di mettere in questione la libertà di espressione e di stampa, e di voler vendere il paese alle transnazionali, attraverso la concessione dello sfruttamento dei giacimenti di risorse naturali di cui l’Ecuador è ricco. Correa ha sempre rigettato le accuse, e ha dichiarato che il successo ottenuto al referendum segna un nuovo passo della “rivoluzione cittadina” che porta avanti da quando è al potere.
È comunque singolare che Correa abbia promosso riforme a una Costituzione così giovane (settembre 2008), e che lui stesso aveva fortemente voluto.
La Costituzione ecuadoriana, che è considerata una delle più avanzate del pianeta, si basa su un “modello di economia sociale e solidaristica”, anche definito “socialismo del XXI secolo”. La Carta Magna prevede, tra le altre cose, l’espropriazione e ridistribuzione delle terre, il controllo statale su settori strategici come il petrolio, l’estrazione mineraria e le telecomunicazioni, l’assistenza sanitaria gratuita per gli anziani e il divieto di installare basi militari straniere nel paese (norma che ha portato alla chiusura della base statunitense di Manta). Stabilisce che l’accesso all’acqua e la sovranità alimentare sono diritti umani, e che la Madre Terra ha diritti propri. Di conseguenza, se qualcuno viola i diritti della Madre Terra – causando, ad esempio, un danno ambientale – può essere denunciato penalmente: in forza della Costituzione del paese andino, e visto il principio di giurisdizione universale, un gruppo di ambientalisti ha denunciato presso la Corte Costituzionale Ecuadoriana la BP per il disastro avvenuto nel Golfo del Messico durante la primavera del 2010. Sempre in Ecuador, un tribunale ha obbligato la compagnia petrolifera Chevron a pagare 9 miliardi di dollari alle comunità vittime dell’inquinamento causato dai suoi pozzi.
Ma l’iniziativa ecuadoriana più interessante è senz’altro la Yasuní-ITT, soprattutto se si considera che il governo, malgrado in via di principio si dichiari rispettoso della Madre Terra, nella pratica non abbia abbandonato il modello estrattivista, con tutti i disastri ambientali che comporta. Il governo di Correa si è impegnato a non estrarre il petrolio presente nel Parco Naturale Yasuní, una delle maggiori riserve di biodiversità del mondo, se la comunità internazionale verserà un contributo pari alla metà degli introiti che riceverebbe se estaesse il crudo. In questo modo, si eviterebbero i danni ambientali e sociali che lo sfruttamento del petrolio comporta, e allo stesso tempo le casse ecuadoriane non ne risentirebbero eccessivamente. Ma la cifra non è ancora stata raggiunta, e Correa sta già pensando di indire un nuovo referendum per decidere cosa fare dei grandi giacimenti che si trovano sotto il Parco Naturale Yasuní.