Il manuale dei Navy SEALs
Cinque brevi estratti dal libro dell'uomo che ha addestrato le forze speciali statunitensi
William McRaven è il vice ammiraglio americano che ha ottenuto improvvisa e repentina notorietà, nella settimana scorsa, per essere l’uomo che ha addestrato il gruppo di Navy SEALs, le forze speciali delle forze armate statunitensi, che ha condotto il blitz contro Osama bin Laden. Molti dettagli di quell’operazione rimangono ancora sconosciuti, e probabilmente non saranno chiariti per moltissimo tempo. Come ha spiegato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, fornire ulteriori dettagli potrebbe mettere a rischio la capacità delle forze speciali di portare a termine operazioni simili in futuro. Poco male, ha notato però qualche giorno fa il Washington Post, dato che McRaven ci ha scritto un libro, sulle missioni speciali e le operazioni come quella che ha portato alla morte di bin Laden.
Nel libro, McRaven descrive le caratteristiche che deve avere una missione per essere portata a termine con successo – semplicità, sicurezza, ripetizione, sorpresa, velocità e risolutezza – e descrive otto famose missioni ad alto rischio, compresa la celebre e leggendaria “operazione Entebbe” condotta nel 1976 dalle forze speciali israeliane in Uganda. Di seguito cinque brevi estratti dal libro di McRaven (che si può comprare su Amazon a meno di dodici dollari, dovesse interessarvi).
L’allenamento rende perfetti
Alcune unità di combattimento, così come squadre antiterrorismo e bombardieri strategici, conducono missioni standard come cose di routine. La maggior parte delle operazioni speciali, però, comporta variazioni dallo scenario standard, e quindi servono nuovi equipaggiamenti e nuove tattiche per essere preparati ad affrontare ogni problema. In questi casi, è essenziale condurre almeno una prova completa della missione, preferibilmente due. Il piano che sembrava semplice sulla carta deve essere messo alla prova. Invariabilmente quando un certo aspetto di una missione non viene provato, non funziona durante la vera missione.
Fatela finita subito
Nelle operazioni speciali, il concetto di velocità è semplice. Raggiungi il tuo obiettivo il prima possibile. Ogni ritardo espande la tua vulnerabilità. La maggior parte delle operazioni speciali comporta un contatto diretto e immediato col nemico: minuti e secondi determinano la differenza tra successo e fallimento. Delle missioni vincenti analizzate in questo libro, solo in un caso chi attaccava ha impiegato più di trenta minuti per guadagnare una posizione di vantaggio sul suo avversario. Negli altri casi, il vantaggio è stato acquisito in cinque minuti e l’operazione conclusa in trenta minuti.
Meglio attaccare di giorno
Il grosso delle forze speciali preferisce colpire il proprio obiettivo di notte, principalmente perché il buio fornisce copertura, ma anche perché si presume che di notte il nemico sia stanco, meno vigile e più esposto alle sorprese. In molti casi, però, la notte mette in allerta i nemici. Insomma, ogni missione farebbe bene a considerare tutti gli aspetti collegati a un assalto notturno. Le migliori operazioni condotte dalle forze speciali, infatti, sono state condotte alla luce del giorno, ottenendo così un effetto sorpresa ben più incisivo.
Avere a cuore il risultato
L’obiettivo di ogni missione deve essere facilmente comprensibile, così che tutti gli uomini siano ispirati da un senso di dedizione personale che non conosce limiti. Nell’era della tecnologia e dei cavalieri jedi si sottovaluta spesso l’importanza del coinvolgimento personale dei soldati, a nostro rischio e pericolo.
Non ci servono i cowboy
La mitologia delle forze speciali come indisciplinate e selvagge non ha fondamento. I soldati e gli ufficiali con cui ho parlato apprezzano molto il valore di un’adeguata preparazione e pianificazione, dell’ordine e della disciplina, del lavoro con l’autorità. E sono persone eccezionalmente modeste, che pensano che non ci sia nulla di eroico nelle loro azioni e spesso cercano di minimizzare la loro notorietà.
foto: John Moore/Getty Images