La tortura è servita a qualcosa?
Il famigerato waterboarding è stato usato negli interrogatori per arrivare a Osama
I servizi segreti statunitensi hanno scoperto il nascondiglio di Osama bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan, spiando i movimenti di un corriere del leader di al Qaida, usato per mantenere le comunicazioni con il mondo esterno. Il corriere è stato identificato dopo anni di indagini grazie alle confessioni di alcuni detenuti di Guantanamo, il campo di prigionia di massima sicurezza statunitense sull’isola di Cuba, e in molti iniziano a chiedersi se le informazioni siano state ottenute o meno con interrogatori e metodi violenti paragonabili alla tortura.
Nel corso di una intervista concessa all’emittente televisiva NBC, l’attuale capo della CIA e prossimo segretario della Difesa, Leon Panetta, ha ammesso che alcune informazioni necessarie per scoprire il nascondiglio di bin Laden sono state ottenute con metodi duri di interrogatorio, compreso il “waterboarding”, il sistema di soffocamento del prigioniero con l’acqua al centro di un lungo dibattito negli Stati Uniti e ritenuto di fatto dalla maggior parte delle interpretazioni una tecnica di tortura, tanto da essere messo al bando da Obama nel gennaio del 2009.
A causa delle intense e prolungate polemiche sull’uso della tecnica, le parole di Panetta oggi rafforzano le posizioni di chi ha sempre sostenuto che ci possano essere deroghe alla legalità nel trattamento dei prigionieri e spazi per l’uso di simili strumenti in casi eccezionali. Molti negli USA sono intervenuti in questo senso e secondo John Yoo, funzionario del Dipartimento della Giustizia ai tempi della presidenza di George W. Bush, l’attuale amministrazione dovrebbe riconoscere a chi l’ha preceduta di aver assunto decisioni dure e a volte drastiche, che si sono però rivelate fondamentali per trovare il leader di al Qaida.
Scott Shane e Charlie Savage scrivono, però, sul New York Times che una analisi più attenta di quanto emerso nel corso degli interrogatori a Guantanamo dimostra che le tecniche violente per ottenere informazioni non hanno avuto molto peso nell’identificazione del covo di bin Laden. Un solo detenuto fornì dettagli utili per identificare il corriere di Osama dopo aver subito il waterboarding, mentre altri due prigionieri non diedero alcuna informazione utile nonostante l’uso dello stesso metodo. E anzi uno degli organizzatori degli attentati dell’11 settembre, Khalid Shaykh Mohammed, fu sottoposto alla tecnica del waterboarding per 183 volte, ma diede informazioni fasulle e fuorvianti sul corriere.
I primi dettagli sull’uomo di fiducia di bin Laden emersero a Guantanamo tra il 2002 e il 2003. Il corriere era noto con lo pseudonimo Abu Ahmed al-Kuwaiti e nei primi anni di indagini appariva più come una leggenda, un personaggio di fantasia impossibile da identificare sul territorio. Nel marzo del 2003 le cose cambiarono almeno in parte con l’arrivo di Mohammed nel campo di prigionia. L’uomo subì metodi di interrogatorio molto duri con l’intento di ottenere quante più informazioni possibili su al Qaida. I metodi di interrogatorio comprendevano il waterboarding, la privazione del sonno per molti giorni consecutivi, sbattere i prigionieri contro i muri e obbligarli a rimanere in posizioni scomode per molte ore consecutive.
Le prime domande su Kuwaiti furono rivolte a Mohammed nell’autunno del 2003, molti mesi dopo il waterboarding e gli interrogatori violenti. Il terrorista ammise di aver conosciuto l’uomo di fiducia di bin Laden, ma disse che non aveva alcun ruolo di rilievo nell’organizzazione terroristica e che si era ormai fatto da parte. L’intelligence statunitense decise di non abbandonare le indagini sul corriere e nel 2004 ottenne nuove informazioni interrogando Hassan Ghul, un membro di al Qaida catturato in Iraq.
Ghul diede una versione diversa rispetto a quella di Mohammed. Disse che Kuwaiti era un corriere fidato e molto vicino a Osama bin Laden e che aveva stretti rapporti anche con Mohammed e con Abu Faraj al-Libi, l’uomo che aveva assunto il controllo del coordinamento delle attività di al Qaida dopo la cattura dello stesso Mohammed. Ghul aggiunse poi di aver perso da tempo le tracce di Kuwaiti, particolare che sembrava confermare l’ipotesi che si stesse nascondendo insieme a bin Laden.
Al momento i dettagli sugli interrogatori cui fu sottoposto Ghul non sono ancora del tutto chiari. La CIA dice che il detenuto non subì mai il waterboarding. L’intelligence chiese al Dipartimento di Giustizia l’autorizzazione per eseguire interrogatori con metodi più duri del solito, ma a oggi non si sa se quei sistemi furono poi effettivamente adottati su Ghul. Pare che l’uomo fosse abbastanza collaborativo e che questo rendesse superflui metodi di interrogatorio duri o violenti. Mohammed non confermò mai le informazioni date da Ghul nemmeno in una nuova serie di interrogatori.
Nel maggio del 2005 gli Stati Uniti catturarono anche Abu Faraj al-Libi e al terrorista furono poste diverse domande sul corriere di bin Laden. Il coordinatore delle attività di al Qaida negò di conoscere Kuwaiti e diede un nome diverso all’uomo che svolgeva le funzioni di corriere per bin Laden: Maulawi Jan. L’uomo non fu mai trovato e gli agenti della CIA arrivarono alla conclusione che Libi si fosse inventato il nome per depistare le indagini.
Stando a quanto afferma la CIA, Libi non subì il waterboarding, ma i dettagli sulle tecniche utilizzate nel corso dei suoi interrogatori non sono stati mai diffusi. Prima di interrogarlo, la CIA chiese comunque al Dipartimento di Giustizia l’autorizzazione per usare metodi molto duri nel corso dell’interrogatorio, ma non sappiamo se questi sistemi furono poi utilizzati o meno.
Le risposte date da Mohammed e Libi indussero gli agenti dell’intelligence a perseverare nella ricerca di Kuwaiti. I due terroristi stavano chiaramente cercando di depistare le indagini, e questa fu ritenuta una conferma dell’effettiva esistenza del corriere e della sua importanza per bin Laden. Le indagini negli anni seguenti, sulle quali non ci sono ancora molti dettagli, hanno portato alla scoperta del vero nome di Kuwaiti e alla successiva identificazione del covo del leader di al Qaida. Kuwaiti è rimasto ucciso nel corso dell’azione che ha portato alla cattura e all’uccisione di Osama bin Laden. Il corriere viveva nel nascondiglio di Abbottabad insieme a un parente stretto, non è ancora chiaro se si trattasse di un fratello o di un cugino, morto nel corso del raid statunitense, ed era noto in città con una falsa identità.