Fu omicidio la morte al G20 di Londra
Si è conclusa l'inchiesta su Ian Tomlinson, morto negli scontri al G20 di Londra del 2009
Si è conclusa oggi, con un verdetto di omicidio, la prima inchiesta giudiziaria sulla morte di Ian Tomlinson, avvenuta durante gli scontri al G20 dell’aprile del 2009. L’edicolante di 47 anni, padre di nove figli, stava tornando a casa dal lavoro il primo aprile del 2009 quando venne circondato da alcuni poliziotti, colpito da uno di loro, e cadde a terra. Poi si rialzò, ma venne trovato morto a poche decine di metri da lì. Sulle circostanze della sua morte vi furono da subito versioni discordanti: inizialmente si parlò di un malore e di nessun coinvolgimento delle forze dell’ordine, ma un video pubblicato dal Guardian a una settimana di distanza dal fatto mostrò che Tomlinson era stato raggiunto da un gruppo di poliziotti mentre camminava con le mani in tasca lungo la strada, colpito alle gambe e gettato a terra con violenza. Il video mostrava anche un manifestante che lo aiutava immediatamente a rialzarsi.
Sul corpo di Tomlinson vennero condotte tre diverse autopsie. La prima, due giorni dopo la morte, concluse che Tomlinson aveva avuto un infarto, ma con una formulazione poco chiara parlava anche di circa tre litri di sangue ritrovati nell’addome dell’uomo. La causa di una emorragia interna così grande non erano spiegate, anche se altri medici dissero che poteva essere dovuta ai tentativi di rianimazione. Dopo la pubblicazione del video da parte del Guardian, avvenuta il 7 aprile, l’IPCC (l’organo di garanzia britannico che si occupa dei procedimenti contro le forze dell’ordine) tolse l’inchiesta alla polizia di Londra e ordinò una seconda autopsia, che fu fatta il 9 aprile da un celebre medico legale inglese, Nathaniel Cary. Cary si era occupato, tra le altre cose, anche dell’autopsia di Benazir Bhutto, il primo ministro pakistano assassinato nel 2007. La sua indagine concluse che Tomlinson era stato ucciso da un brusco colpo all’addome, che aveva causato un’emorragia interna mortale, aggravata dalla sua cirrosi epatica. Il colpo era dovuto al modo scomposto in cui Tomlinson era caduto a terra. Una terza autopsia confermò i risultati di quella di Cary.
Il procedimento legale andò per le lunghe sin da subito. Dopo mesi in cui crescevano le critiche sull’operato della polizia, sulla prima versione dei fatti fornita ufficialmente e sulla lentezza della giustizia, il procuratore incaricato dell’inchiesta annunciò solo a luglio del 2010 che non si sarebbe proceduto contro Simon Harwood, l’agente che, nel video, colpiva Tomlinson e poi lo gettava a terra. Era impossibile arrivare a conclusioni definitive, diceva il procuratore, considerate le discordanze nei risultati dei medici legali. Ma la sentenza emessa oggi ha concluso che Tomlinson è stato vittima di “unlawful killing”, ovvero di omicidio. Nel sistema britannico, una “inquest” come quella appena conclusa non indica alcuna persona direttamente responsabile dell’omicidio, limitandosi a pronunciarsi sulle cause della morte; un verdetto di “unlawful killing” porta però di solito all’apertura di un’indagine da parte della polizia giudiziaria per identificare i responsabili. La giuria ha anche concluso che l’agente Harwood ha fatto un uso della forza “eccessivo e irragionevole”. Il poliziotto, che è attualmente sospeso dal servizio, dovrà affrontare un’udienza disciplinare da parte della polizia metropolitana di Londra, per aver “inavvertitamente causato o contribuito” alla morte di Tomlinson. Se sarà trovato colpevole, come è molto probabile dopo l’esito dell’inchiesta, verrà espulso dalle forze dell’ordine. Il procuratore che decise di non procedere contro di lui ha detto che ora riconsidererà la sua decisione iniziale.
foto: Oli Scarff/Getty Images