Chi è il nuovo premier del Tibet
Lobsang Sangay è il primo laico a capo del governo tibetano, il primo a svolgere le funzioni del Dalai Lama
di Ivan Costantino
Con il 55 per cento dei voti (27.051), Lobsang Sangay è il nuovo Kalon Tripa: il primo ministro del governo tibetano in esilio. Sono stati 49.184 gli esuli tibetani che in più di 30 paesi diversi hanno preso parte alle elezioni, circa il 59 per cento degli aventi diritto al voto. Nel 2000, il Dalai Lama annunciò la decisione di fare eleggere il Kalon Tripa direttamente dalla comunità tibetana in esilio e per due mandati consecutivi (2001 e 2006) fu Lobsang Tenzin – un monaco e quinta reincarnazione del Samdhong Rinpoche – a ricoprirne il ruolo. Il 42enne Sangay – un ricercatore universitario presso la Harvard Law School – è il primo laico ad assumere l’incarico.
Nato nel 1968 in una famiglia di esuli tibetani nella regione indiana del Darjeeling, Lobsang Sangay non ha mai vissuto in Tibet e gli è spesso attribuita l’affermazione: «L’India è la mia seconda casa. Non sono mai stato nella mia prima casa». Il sito della Harvard Law School riporta che il padre – originariamente un monaco – dovette abbandonare il monastero di Lithang in Tibet nel 1956 dopo l’arrivo delle truppe di Mao, per fuggire prima a Lhasa (nel Tibet centrale) e poi, nel 1959, in India. Dopo la laurea in giurisprudenza all’università di Delhi nel 1994, Sangay vinse una borsa di studio Fulbright e si trasferì ad Harvard, dove ha passato gli ultimi 16 anni prima come studente e poi come ricercatore. Sposato e con una bambina, Sangay dovrà lasciare Boston e trasferirsi nella cittadina indiana di Dharamsala – sede del governo tibetano in esilio – per assumere il suo nuovo incarico.
Le elezioni del 2011 sono di particolare importanza alla luce del recente annuncio del Dalai Lama di voler cedere le proprie funzioni politiche a un leader eletto dal popolo: Sangay sarà quindi il primo capo di governo a cui spetterà svolgere le mansioni precedentemente esercitate dal Dalai Lama. In un messaggio di ringraziamento pubblicato sul sito ufficiale della campagna, Sangay stesso fa riferimento alla decisione del Dalai Lama:
«Considero la mia elezione come un’affermazione delle politiche lungimiranti di Sua Santità il Dalai Lama e un altro passo verso la realizzazione della sua visione di una società tibetana veramente democratica. […] Assumo la mia responsabilità di leadership sullo sfondo della magnanima decisione di Sua Santità di devolvere l’autorità politica a dei leader eletti. Al contrario della rivoluzione dei gelsomini dove la gente sta sacrificando la propria vita per ottenere la democrazia, il gesto di Sua Santità dimostra la sua fede nel popolo tibetano»
Riguardo ai rapporti tra il Tibet e la Cina, Sangay ha dichiarato alla BBC di volere continuare sulla linea della “terza via” tracciata dal Dalai Lama e che punta non all’indipendenza del Tibet, ma a una “vera autonomia all’interno della Cina o dell’apparato della costituzione cinese.” La posizione di Sangay rispecchia i suoi passati tentativi da accademico, applauditi dal Dalai Lama, di instaurare un dialogo con studiosi e funzionari di partito cinesi attraverso l’organizzazione di convegni e seminari. Più recentemente, Sangay ha dichiarato al Wall Street Journal: “Nei miei 16 anni ad Harvard, ho organizzato conferenze e incontrato centinaia di studiosi cinesi. Vorrei continuare il dialogo con la gente e se il governo cinese è disposto, anche a livello governativo”. A chi sostiene che Sangay sia troppo giovane, il neopremier risponde: “La gente mi accetta per quello che sono. Se osservi in giro per il mondo ci sono molti primi ministri e presidenti quarantenni, da Barack Obama negli Stati Uniti, a Julia Gillard in Australia, a David Cameron nel Regno Unito.”
Non sorprendentemente, nonostante la sua politica del dialogo, le critiche più feroci a Sangay sono arrivate dalla stampa cinese, che ha puntato il dito alla sua esperienza di attivismo politico. Già il 22 marzo 2011 – all’indomani delle elezioni e più di un mese prima dell’annuncio dei risultati – un editoriale del People’s Daily definiva l’allora candidato un “terrorista”:
“Lobsang Sangay è nato e cresciuto in India, ma non è mai stato in Tibet. Nel 1992 giunse alla celebrità e divenne il più giovane membro direttivo di “Tibet Youth Congress” (TYC), un’organizzazione di natura terroristica.”
La partecipazione degli esuli tibetani alle elezioni e la decisione del Dalai Lama di cedere i propri poteri sono indicazioni importanti della transizione del governo tibetano verso la democratizzazione. L’elezione di Sangay e la sua predisposizione al dialogo fanno sperare che la lenta secolarizzazione della società tibetana possa portare a una risoluzione del conflitto con la Cina. Alla luce delle affermazioni della stampa cinese, tuttavia, il compito di Sangay – alla guida di un governo non riconosciuto né dalla Cina né da nessun altro paese – si presenta arduo e il cammino verso un riavvicinamento tra governo cinese e governo tibetano in esilio appare ancora molto lungo.
foto: RAVEENDRAN/AFP/Getty Images