La guerra di Aisha Gheddafi
Il NYT ha intervistato la figlia del dittatore libico, che racconta ai figli storie sulla vita dopo la morte
Aisha Gheddafi ha trentasei anni ed è l’unica figlia del dittatore libico. È avvocato e ha fatto parte del collegio difensivo di Saddam Hussein; attraverso l’organizzazione benefica che presiede ha anche difeso Muntadhar al-Zaidi, il giornalista iracheno che durante una conferenza stampa a Baghdad lanciò le scarpe all’allora presidente degli Stati Uniti George Bush. Si trova ora a Tripoli, dove il New York Times è riuscito ad ottenere un colloquio di un’ora con lei, che non appare spesso in pubblico e non è solita rilasciare interviste. Tra i figli di Gheddafi ha la fama di fare spesso da paciere, ma questo non le impedisce di partecipare attivamente alla gestione del potere nella Libia del Colonnello.
Aisha dice che le difficoltà hanno unito la famiglia e che le decisioni sono prese solo dopo aver consultato tutti e otto i fratelli. Non ha voluto commentare, però, il fatto che proprio dal gruppo dei figli di Gheddafi sarebbe arrivata nei giorni scorsi la proposta di mettere da parte il padre e aprire una fase di transizione guidata dal suo secondo figlio, Seif al-Islam. Se molti militari e politici vicini per decenni al colonnello lo hanno tradito e sono passati ai ribelli, riconosce Aisha, questo è avvenuto solo perché temevano per le loro famiglie. Con diversi di loro, prosegue, i Gheddafi continuano ad avere contatti (anche se, a precisa domanda, Aisha non ne ha nominato nessuno).
Nei confronti della comunità internazionale, la figlia di Gheddafi mostra un misto di superiorità e di volontà di collaborazione. Dice che la politica di Obama finora non ha ottenuto nulla, e quando si tratta di parlare di Hillary Clinton, attuale segretario di Stato, ricorda ridendo la storia non proprio attualissima dei tradimenti del marito Bill. Ma d’altra parte invita le potenze occidentali a una risoluzione mediata del conflitto e a colloqui sotto il controllo degli organismi internazionali. Con i ribelli, però, non intende trattare, perché sono «terroristi» che «combattono per il gusto di combattere».
La Libia senza Gheddafi provocherebbe il caos in tutta la regione, prosegue: le tribù prenderebbero le armi e scatenerebbero la guerra civile, l’Islam più radicale prenderebbe possesso della sponda meridionale del Mediterraneo e nessuno fermerebbe più gli immigrati che invaderebbero l’Europa. Le parole di Aisha assomigliano nella sostanza ai discorsi del fratello Saif al-Islam, lontani dai toni accesi del padre ma fermi nel dichiarare che il popolo libico è tutto con Gheddafi; che da parte sua, la famiglia mantiene la calma e la tranquillità; che i disordini non sono mai accaduti o sono opera di pochi facinorosi, mentre nell’est del paese si tratta di una momentanea vittoria del fondamentalismo islamico. Quando però l’intervistatore ha chiesto ad Aisha come farà la famiglia a rimanere al potere, lei ha ripetuto più volte: «Abbiamo una grande fede in Dio». E come riporta il New York Times, prima di andare a dormire racconta ai suoi tre figli storie sulla vita dopo la morte. «Perché in tempo di guerra non sai mai quando un missile o una bomba ti può colpire, e allora è la fine». Questi tetri particolari raccontano più di molti discorsi rassicuranti.
Foto: AP Photo/Jerome Delay