Che cosa c’è nei documenti su Guantanamo
Le storie rivelate dai nuovi file segreti diffusi da Wikileaks
Ieri sera New York Times, Le Monde, Washington Post e Guardian hanno pubblicato una nuova raccolta di documenti – circa 700 – ricevuti da Wikileaks e dedicati alla prigione USA di Guantanamo a Cuba e alle sue procedure. I documenti coprono un periodo che va dal 2002 al 2009.
Di che cosa parliamo
Il carcere di Guantanamo fu aperto dal governo americano nel 2002 e divenne subito uno dei simboli più contestati e controversi della politica estera dell’amministrazione di George W. Bush. Anche perché, trovandosi fuori dalla giurisdizione legale degli Stati Uniti, non sempre c’è stata grande trasparenza riguardo quello che è successo tra le sue mura. Per anni le associazioni umanitarie hanno denunciato il mancato accesso alla struttura e episodi di abusi e torture nei confronti dei detenuti. Anche queste denunce sono state a loro volta molto contestate, e negli ultimi anni molte testimonianze – un anno fa quella di Alberto Flores d’Arcais su Repubblica – hanno parlato invece di un carcere completamente ripulito e sicuramente molto più comodo e servito delle prigioni collocate all’interno del territorio statunitense. Da quando sono cominciati i rimpatri dei detenuti, molti hanno chiesto di poter rimanere a Guantanamo piuttosto che tornare nei loro paesi d’origine: questo non dimostra che ogni standard di civiltà sia rispettato, ma indica che sul tema si fanno anche valutazioni approssimative. Poi c’è la questione dello status legale dei prigionieri, detenuti per molti anni senza avere subito processo, impossibili da condannare in un tribunale ordinario e allo stesso tempo impossibili da rilasciare a meno di non mettere consapevolmente in libertà dei terroristi.
Che cosa c’è nei rapporti
I settecento documenti coprono un periodo che va dal 2002 al 2009 e forniscono dettagli su ogni singola persona detenuta nel carcere dal giorno della sua apertura. Nella maggior parte dei casi si tratta di rapporti redatti a partire dagli interrogatori che venivano condotti con i detenuti. I documenti descrivono anche nei dettagli tutto quello che era nelle tasche dei prigionieri a momento della cattura, le loro malattie e le loro insubordinazioni una volta in carcere.
Una storia particolarmente interessante contenuta nei cable e raccontata dal Washington Post è quella che descrive una riunione dei principali membri di al Qaida nel dicembre del 2001, pochi mesi dopo gli attentati dell’undici settembre a New York. La riunione si tenne a Zormat, una regione nelle montagne dell’Afghanistan tra Kabul e Khost e vi parteciparono tra gli altri Khalid Sheik Mohammed, la mente che aveva pianificato l’attentato contro le Torri Gemelle, And al Rahim al Nashiri e Abu Faraj al-Libbi.
Che cosa sappiamo di nuovo
I documenti classificano i detenuti secondo una scala di alta, media e bassa pericolosità. Si legge che la maggior parte dei 172 prigionieri presenti ancora a Guantanamo sono stati classificati “ad alto rischio” di minaccia contro gli Stati Uniti e i loro alleati se liberati senza un’adeguata riabilitazione e supervisione. Ma anche che a un grande numero di quelli che hanno lasciato Cuba – circa un terzo dei 600 già trasferiti in altri paesi – era stato attribuito lo stesso potenziale di pericolo. In particolare si legge che un ex detenuto libico di Guantanamo, catturato in Pakistan dopo l’11 settembre perché considerato «probabilmente appartenente ad Al Qaeda» e poi consegnato a Gheddafi – che in seguito l’ha liberato – oggi è tra i leader dei ribelli libici alleati di Stati Uniti e Europa.
Nuovi dettagli sono emersi anche a proposito dell’uomo che ha orchestrato gli attentati dell’undici settembre, Khalid Shaikh Mohammed. In uno dei documenti si legge infatti che nel marzo del 2002 Shaikh Mohammed aveva ordinato a un ex residente di Baltimore, Majid Kahn, di condurre un attentato suicida contro l’allora presidente del Pakistan, Pervex Musharraf. Ma una volta arrivato alla moschea in cui avrebbe dovuto trovare Musharraf, Kahn scoprì che si trattava solo di una prova di fedeltà a cui era stato sottoposto.
I cable raccontano anche che le autorità americane avevano inserito i servizi segreti pakistani nella lista delle organizzazioni terroristiche insieme ad al Qaida, Hamas, Hezbollah e ai servizi segreti iraniani.
Dettagli su cose che sapevamo
I cable confermano che quello che era iniziato nel 2002 come un esperimento per combattere il terrorismo sembra ormai diventata una solida istituzione americana. Confermano inoltre che in molti casi alcune persone sono state catturate e detenute erroneamente. È il caso per esempio di un uomo afghano di nome Sharbat che fu catturato nel 2003 vicino al luogo in cui era appena esplosa una bomba. L’uomo aveva sempre negato qualsiasi connessione con Al Qaida, dicendo di essere soltanto un pastore, ma fu comunque portato a Guantanamo e liberato solo tre anni dopo.
Nei rapporti si trova anche conferma del fatto che in alcuni casi i detenuti sono stati sottoposti a torture molto pesanti durante gli interrogatori. Il caso più eclatante raccontato dai cable è quello che ha a che fare con Mohammed Qahtani, un saudita accusato di essere stato coinvolto negli attentati dell’undici settembre. Nei file si legge che durante uno degli interrogatori a cui fu sottoposto, Qahtani fu legato con una catena, umiliato sessualmente e costretto a urinare sul proprio corpo. In alcuni casi le autorità americane decisero di continuare a credere alle informazioni ottenute con questi metodi anche dopo avere ammesso che i prigionieri che gliele avevano fornite erano stati maltrattati.
Infine i cable confermano che molte persone furono portate a Guantanamo sulla base di sospetti molto vaghi e in alcuni casi inconsistenti. Il cittadino di origine britannica, Jamal al-Harith, per esempio, fu portato a Guantanamo solo perché era stato in una prigione talebana e si supponeva quindi fosse a conoscenza delle loro tecniche di interrogatorio. Un altro fu catturato solo perché essendo un mullah afghano poteva avere conoscenze più dirette del mondo dei talebani. Un giornalista di Al Jazeera infine fu detenuto per sei anni a Guatanamo solo per ottenere informazioni sul network satellitare arabo.
Foto: John Moore/Getty Images