Le ragioni delle religioni
Un progetto scientifico prova a spiegare le fedi e le loro differenze
Le religioni sono estremamente diffuse nel mondo, ma non sono universali, e da tempo teologi, filosofi e scienziati cercano di capire che cosa ci sia di preciso alla base della loro esistenza. Secondo i credenti, il fatto che le religioni esistano praticamente in ogni società è la chiara dimostrazione di una volontà superiore, mentre chi non ha la fede si chiede perché allora ci siano così tante religioni e così diverse tra loro. L’Economist di questa settimana prova a rifletterci raccontando gli sviluppi di “Explaining Religion”, un progetto scientifico che negli ultimi tre anni ha raccolto dati e informazioni sulle diverse pratiche religiose e i cui risultati sono stati pubblicati da pochi giorni.
Gli autori della ricerca hanno finito di raccogliere il materiale, quindi ci vorrà ancora del tempo prima che emergano le conclusioni definitive dello studio. Tuttavia, alcuni elementi fino a ora raccolti sulla religione danno qualche indizio interessante sul funzionamento delle religioni e sulla loro capacità di far presa sulle popolazioni del mondo.
Una teoria collega l’origine della religione alle grandi capacità di collaborazione che hanno portato all’affermazione dell’Homo sapiens. Una caratteristica di molte religioni è l’idea che il male subisca la punizione divina e che le virtù vengano invece premiate. Gli imbroglioni e gli avidi, in altre parole, ottengono ciò che si meritano. L’altruismo, incoraggiato da un simile modo di pensare, potrebbe aiutare a spiegare l’evoluzione della religione. Ma l’idea di ottenere ciò che si merita è davvero istintiva come questa interpretazione sembra suggerire?
Per rispondere a questa domanda, Nicolas Baumard della University of Pennsylvania ha deciso di sottoporre una storia con una morale a un gruppo di volontari. Ogni partecipante all’esperimento ha letto la storia di un mendicante che chiede l’elemosina e di un passante che si rifiuta di donargli qualche soldo. In alcune versioni del racconto, oltre a essere avaro, il passante maltrattava anche il mendicante. In altre, non aveva un soldo in tasca e si dimostrava molto dispiaciuto. In entrambi i casi, al passante capitava alla fine qualcosa di brutto, dall’inciampare nelle proprie stringhe, al subire uno sgambetto da parte del mendicante o al finire investito da un’automobile.
Baumard ha poi chiesto a ogni volontario se pensasse che l’evento spiacevole che capitava al passante fosse in qualche modo legato alla mancata elemosina. Nella maggior parte dei casi, i volontari hanno risposto negativamente, ma con tempi di risposta molto diversi tra loro. Baumard ha notato che nel caso dell’incidente d’auto successivo alla mancata elemosina i tempi di risposta dei volontari si allungavano e di molto. Secondo il ricercatore, in questo caso i partecipanti avrebbero impiegato più tempo a rispondere perché impegnati a creare un nesso tra la cattiva azione del passante e il suo successivo destino. In pratica hanno preso in considerazione la possibilità che al passante fosse successo ciò che si meritava sulla base di qualcosa di superiore.
Serviranno ancora molti test ed esperimenti per verificare l’ipotesi di Baumard, che al momento ha solo l’evidenza empirica dei tempi di risposta per essere dimostrata. L’esperimento si ricollega comunque a uno degli aspetti analizzati con maggiore attenzione dal progetto, ovvero l’idea che hanno molti credenti che Dio veda tutto e sappia che cosa stanno facendo.
Per indagare questo aspetto, Baumard insieme a due colleghi ha provato a verificare se le persone modifichino o meno il loro comportamento quando hanno il sospetto di essere osservate. I tre ricercatori hanno chiesto a due gruppi di volontari di dare una loro opinione su due azioni: tenere per sé i soldi trovati dentro un portafoglio smarrito da qualcuno, falsificare un curriculum vitae. Al primo gruppo di partecipanti i quesiti sono stati consegnati su un foglio con una illustrazione di due occhi, al secondo su un foglio con una illustrazione di un vaso di fiori. I volontari con il foglio con gli occhi disegnati hanno attribuito un maggior grado di gravità ai due comportamenti suggeriti rispetto al gruppo con i fiori.
L’esperimento in sé dimostra poco perché il disegno di due occhi non è certo paragonabile all’idea che possono avere i credenti di un osservatore sovrannaturale, tuttavia il test conferma l’esistenza di alcuni nostri processi mentali che tengono in considerazione la possibilità che vi sia una divinità onnisciente, qualcosa che potrebbe avere a che fare con le nostre decisioni.
Il pensiero della giusta punizione per qualcosa di male che si è fatto cambia per ogni persona, mentre altri elementi della religione sono comuni e condivisi come quelli dei rituali religiosi.
Gli psicologi distinguono due tipi di memoria a lungo termine. Una, la memoria semantica, registra le cose imparate consapevolmente senza avere avuto un’esperienza diretta: le lezioni di storia a scuola, per esempio. L’altra, la memoria episodica, registra gli eventi da ricordare che fanno parte della vita di una persona. Harvey Whitehouse, di Oxford, pensa che questi diversi modi di ricordare siano sfruttati da quelli che a suo modo di vedere sono due diversi aspetti della religiosità. Il modo religioso legato alla dottrina, come lui chiama il primo di questi aspetti, favorisce i riti ricorrenti ma poco entusiasmanti che consentono di essere memorizzati nella memoria semantica. Questo spiega le preghiere del venerdì per l’Islam, o le messe giornaliere per i cattolici più osservanti.
Il secondo aspetto, quello che Whitehouse definisce immaginifico, riguarda i riti che avvengono di rado, ma che hanno una forte componente emotiva e che si radicano quindi con efficacia nella memoria episodica. Si può trattare di eventi piacevoli o dolorosi, ma secondo il ricercatore i secondi sono più adatti perché i traumi vengono ricordati con maggiore efficacia dalla nostra mente. E in effetti le religioni puntano quasi sempre sui secondi.
Insieme ad alcuni colleghi, Whitehouse ha compilato un elenco di 645 rituali appartenenti a 74 diverse culture. Ogni rituale è stato poi catalogato in base alla sua frequenza e al livello di emozioni che provocano. Dalla ricerca è emerso che i rituali meno entusiasmanti avvengono con maggiore frequenza e regolarità, mentre quelli che danno una forte emozione si verificano poche volte nel corso della vita, ma vengono ricordati vividamente perché lasciano il segno.