Le prime vittime della sindrome NIMBY
Non sono le centrali nucleari o gli inceneritori bensì le energie rinnovabili, a cominciare dalle pale eoliche
di Filippo Zuliani
Gli inglesi la chiamano sindrome NIMBY, acronimo che viene da Not In My BackYard, non nel mio giardino. La retromarcia del governo sul nucleare cui abbiamo assistito in questi giorni è un caso da manuale di sindrome NIMBY. In pratica, i problemi a Fukushima hanno provato che è possibile incorrere in incidenti seri nelle centrali nucleari. Da lì si è assistito ad una levata di scudi quasi istantanea contro tali impianti (basti guardare alle dichiarazioni in materia degli amministratori locali del centrodestra). Non nel mio giardino, costruiteli altrove, ovunque, perchè qui non ci si fida.
Pensare che la sindrome colpisca solo centrali nucleari o inceneritori sarebbe però un errore. L’Osservatorio Nimby, il termometro delle contestazioni ambientali in Italia, in un’indagine promossa dall’istituto di ricerca Aris ha reso noto la portata della sindrome NIMBY in Italia. I numeri della ricerca sono eloquenti. Delle contestazioni subite per l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica, oltre il 70 per cento sono contro centrali a biomasse o idroelettriche e impianti eolici o fotovoltaici. Tutti progetti verdi e per l’energia rinnovabile, che potrebbero affrancarci dalle fonti fossili ma vengono criticati da comitati spontanei, sindaci e giunte come e peggio – e qui siamo al paradosso – di infrastrutture e impianti industriali, ambedue fermi solo al 5 per cento. I campioni del NIMBY sono le liste civiche, movimenti trasversali agli schieramenti politici convenzionali che finiscono per catalizzare oltre il 60 per cento delle proteste “non nel mio giardino”. Le giunte comunali di centro-destra e quelle di centro-sinistra si spartiscono equamente il resto.
Le motivazioni sono quasi ovvie: ansia, paura, disinformazione, scarsa fiducia nella politica, ma soprattutto ricerca del consenso a breve termine. Strumentalizzare la sindrome NIMBY per fini elettorali è infatti facile e oltremodo fruttuoso. La retromarcia del governo sul nucleare è la dimostrazione plastica della portata dei risultati che si possono ottenere cavalcando gli umori popolari. E non è una buona notizia, soprattutto per chi si attende che alla dismissione del nucleare seguirà lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Paradossalmente, in Italia è più facile installare una centrale nucleare che non l’equivalente energetico di pale eoliche. Per un semplice motivo: se di centrali nucleari se ne installano tre o quattro, di turbine eoliche – a oggi l’unica opzione quantitativamente ed economicamente competitiva col nucleare in Italia – bisogna installarne migliaia, sparse per il territorio.
Numeri alla mano, quattro centrali nucleari da 1600MW ciascuna – questo era il defunto piano del governo in carica – avrebbero prodotto 44 TWh all’anno di energia elettrica, il 15 per cento della produzione nazionale italiana. Per generare la stessa energia da impianti eolici servirebbero oltre 12.000 torri eoliche. Stiamo parlando di torri alte 120 metri, con pale dal diametro di 75, per 1100 tonnellate di cemento, acciaio e alluminio ciascuna. Gli ambientalisti le chiamano ecomostri, certo è che viste da vicino fanno davvero impressione. Anche installandone solo la metà, delegando dunque il restante cinquanta per cento dell’energia a solare, biomasse o risparmio energetico, restano comunque 6000 torri. Sono oltre 7 milioni di tonnellate di cemento e acciaio. L’Empire State Building pesa 275mila tonnellate. Ecco, qui si sta parlando di costruirne 25, sparsi su una superficie di 2400 chilometri quadrati.
Installare migliaia di torri eoliche è tecnicamente possibile. La produzione mondiale di acciaio ammonta a circa 1200 milioni di tonnellate all’anno, il materiale dunque non manca e la tecnologia è sicura. Però stiamo parlando di installare migliaia e migliaia di torri enormi – non due ventilatorini – un sacco di acciaio e cemento principalmente in Puglia, Sicilia e Sardegna, le regioni col maggior potenziale eolico. Del problema dell’impatto ambientale delle torri eoliche se ne stanno rendendo conto anche in Danimarca, dove l’installazione delle nuove turbine da 150 metri nel Port Nord di Copenhagen ha mandato su tutte le furie gli abitanti del quartiere locale di Gentofte, assieme al vicesindaco. In Italia ricordiamo qualche anno fa l’opposizione del sindaco di Gela e quella di Vittorio Sgarbi, allora sindaco di Salemi, all’installazione di generatori eolici perché “deturpano il paesaggio”.
Detto altrimenti, vivere di energie rinnovabili probabilmente è possibile. Tuttavia, o si crede che si possa campare con molta meno energia – ma davvero molta, non due lampadine in meno – o si deve accettare l’impatto ambientale di torri eoliche, pannelli solari, centrali a biomasse in quantità e via discorrendo. In pratica, va messa da parte la sindrome NIMBY, e accettato, con piena maturità, che dalle energie rinnovabili derivano non solo vantaggi ma anche svantaggi. Se così non sarà, i governi di qualsivoglia colore dovranno installare migliaia di pale eoliche, pannelli o centrali a biomasse contro il volere di altrettante migliaia di sindaci, assessori, ambientalisti, governatori o furbetti assortiti. Nell’Italia delle regioni e nell’assenza di un piano nazionale strategico vincolante per l’energia, ci vorrebbero semplicemente millenni.
foto: TONY KARUMBA/AFP/Getty Images