I cappelli di Gheddafi
Slate racconta l'evoluzione politica del dittatore libico a partire da quello che si mette in testa
Le numerose visite di Gheddafi in Italia e, da qualche settimana, le rivolte e la guerra in Libia, ci hanno tra le altre cose reso molto familiari i sontuosi dettagli dell’abbigliamento di Muammar Gheddafi. Ieri Brian Palmer su Slate ha tracciato l’evoluzione del suo percorso al potere attraverso le caratteristiche dei cappelli che usa più spesso.
Il cappello con cui lo vediamo di solito – quello nero schiacciato e rotondo – è una variante del fez nordafricano e si chiama shashia. Nonostante vengano spesso confusi, si tratta di due copricapi molto diversi: il fez è rigido, conico e di forma sollevata, mentre la shashia è morbida e la sua forma aderisce alla sommità della testa alla maniera di una berretta a calotta. Quella con cui Gheddafi è stato spesso fotografato in questi ultimi mesi è una shashia nella sua versione invernale, di lana, che d’estate viene sostituita con un modello equivalente in cotone.
Nei suoi primi anni al potere, invece, Gheddafi preferiva ostentare le sue credenziali militari mostrandosi spesso in giro in alta uniforme, cappello compreso. Man mano che il suo potere si consolidava, il leader libico iniziò a mettere da parte le divise militari per fare spazio alle tipiche vesti dell’abbigliamento beduino. Non voleva più presentarsi come colonnello o presidente, ma come “al-qa’id al’mu’allim”, leader e guida, e per questo decise di passare a un guardaroba più popolare.
Quando invece Gheddafi si sente pan-africano, continua Palmer, tende a indossare gli abiti tipici dell’Africa occidentale. È quello che è accaduto per esempio durante il summit dell’Unione Africana del 2009, quando si presentò con il tipico boubou e in testa il kufi. In questo caso, conclude Palmer, l’obiettivo è mostrarsi negli abiti del Re dei re africani per cercare di allargare il più possibile la sua influenza e il suo consenso su base regionale.