Che fine fa il referendum sul nucleare?
La decisione spetta alla Corte di Cassazione, si va verso l'abolizione del quesito
Ieri il governo ha presentato al Senato un emendamento al cosiddetto “decreto Omnibus” che abroga le norme che aprivano la strada alla costruzione in Italia di nuovi impianti nucleari. Il decreto dovrebbe essere approvato oggi dal Senato e domani dalla Camera, e di fatto ribalta completamente la politica energetica del governo promossa in questi tre anni e promessa in campagna elettorale. Il provvedimento a cui fa riferimento l’emendamento è il decreto del 2008, che già era stato modificato un mese fa con la moratoria di un anno. Il completo ribaltamento è ammesso dallo stesso governo in questa nota.
Con l’emendamento viene affidato al Consiglio dei Ministri la definizione di una nuova Strategia energetica nazionale. La Strategia terrà conto delle indicazioni stabilite dall’Ue e dai competenti organismi internazionali; e, prima di essere approvata definitivamente dal Consiglio dei Ministri, sarà sottoposta all’esame della conferenza Stato-Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari.
La decisione del governo ha effetti anche su capitoli che non hanno a che fare con la politica energetica. Il ricorso all’energia nucleare, infatti, è oggetto di uno dei quattro referendum abrogativi previsti per il 12 e 13 giugno. Il voto sembrava inesorabilmente destinato al fallimento, come quello di tutti i 24 referendum abrogativi degli ultimi quindici anni, ma era stato resuscitato dall’attenzione sul tema risvegliata dai guasti alla centrale giapponese di Fukushima.
Di fronte alla retromarcia del governo, i promotori del referendum si sono divisi tra i festeggiamenti e le proteste. Sebbene ci sia in giro tanta comprensibile soddisfazione per l’abrogazione delle norme, in molti temono che la decisione del governo nasconda trappole e furbizie. Lo dicono personaggi con caratteri e attitudini molto diverse, come Massimo D’Alema e Antonio Di Pietro. Il primo dice che «Berlusconi ha cancellato il nucleare, che costituiva il 50 per cento del suo programma, perché temeva che il referendum abrogativo potesse avere un effetto trainante su quello sul legittimo impedimento». Il secondo ribadisce che «si teme che il referendum sul nucleare trascini con sé quello, ben più temuto dal premier, sul legittimo impedimento». Il referendum sul legittimo impedimento ha un grande valore simbolico, ma ha solo quello: lo scorso gennaio la Corte Costituzionale ha stabilito che spetta soltanto ai giudici decidere volta per volta se gli impegni istituzionali di un imputato sono o no adeguati a rinviare le udienze.
L’altra preoccupazione degli antinuclearisti ha a che fare col fatto che, a fronte dell’abrogazione delle leggi, nessuno vieta al governo di presentarle tale e quali il giorno dopo il referendum. È l’ipotesi avanzata dal presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, e da Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, anche se a meno di grossi e improbabili cambiamenti nell’orientamento dell’opinione pubblica lo scenario sembra essere poco plausibile.
In ogni caso, oggi il nodo è rappresentato soprattutto dalla presenza o no del quesito sul nucleare nei referendum del 12 e 13 giugno. La decisione, come spiega oggi il Corriere della Sera, spetta alla Corte di Cassazione.
Così, a braccio, le prime analisi di alcuni costituzionalisti sembrerebbero optare per l’effettiva cancellazione del quesito referendario. Il punto principale, infatti, è capire se l’emendamento presentato ieri mattina dal governo in Senato abroga totalmente le disposizioni che hanno recentemente reintrodotto la produzione di energia nucleare in Italia. Quelle disposizioni, cioè, che sono state messe in discussione con il referendum sul nucleare del prossimo giugno. È questa prima analisi che sembrerebbe far dire che il referendum sul nucleare verrà alla fine abolito. L’emendamento del governo, infatti, riproduce quasi pedissequamente il testo del referendum. Le differenze sarebbero poche e, soprattutto, puramente formali.
Ovviamente non si tratta di un esito scontato. La Corte potrebbe stabilire invece che l’emendamento presentato dal governo “soddisfi soltanto in maniera parziale le richieste del comitato promotore”. In questo caso la consultazione non verrebbe abolita “ma si terrebbe per un quesito ristretto”. Si tratterebbe, come per il legittimo impedimento, di un voto dal valore concreto quasi nullo ma dal valore simbolico più importante.
foto: AP Photo/Alexandre Meneghini