L’Unione Europea vuole limitare l’ecommerce?
Una serie di nuove regole complica la vita a chi vuole vendere online, grande o piccolo
Le associazioni che si occupano di commercio elettronico in Europa hanno deciso di fare fronte comune per contrastare una nuova proposta di direttiva [pdf] del Parlamento europeo, che intende cambiare alcune delle norme che regolano la vendita dei prodotti online. Le nuove regole, dicono le associazioni di categoria, farebbero aumentare i costi di spedizione portandoli oltre i 15 miliardi di Euro, dai 5,7 miliardi attuali.
Per come è scritto ora, l’articolo 22A della proposta obbliga di fatto i proprietari dei siti di ecommerce a consegnare i loro prodotti in tutti gli Stati membri dell’Unione.
Nel caso di un contratto a distanza, il consumatore avrà la possibilità di richiedere al rivenditore la consegna dei beni o dei servizi offerti in un altro Stato membro. Il rivenditore dovrà osservare la richiesta del cliente se tecnicamente possibile e se il cliente darà la propria disponibilità a farsi carico dei costi aggiuntivi. Il rivenditore dovrà mettere in chiaro i costi in anticipo.
Secondo NETCOMM, il Consorzio del commercio elettronico italiano, l’articolo inciderà pesantemente sulle piccole aziende che decidono di aprire un sito di ecommerce in Italia, o in un altro paese dell’Unione, e che non intendono fare consegne all’estero. Nel peggiore dei casi, l’articolo obbligherà queste piccole società a ricevere pagamenti con sette valute differenti, ad adottare sistemi di traduzione per le descrizioni dei prodotti e contratti di spedizione che cambiano a seconda delle regole dei 27 paesi compresi nella nuova proposta. I piccoli imprenditori sarebbero così disincentivati dal mettere in piedi un sito per l’ecommerce perché obbligati ad affrontare costi e a impegnare energie fuori dalla loro portata, senza contare le complicazioni legali per la vendita negli altri paesi.
Le associazioni di categoria contestano anche l’articolo 12 sul diritto di recesso, ovvero la possibilità per l’acquirente di rimandare indietro la merce e ottenere un rimborso entro 7 – 10 giorni dall’acquisto. La proposta mira a istituire un limite massimo di 14 giorni entro il quale esercitare il diritto di recesso in tutta l’Unione. Alle due settimane si aggiungerebbero poi altri 14 giorni per effettuare la restituzione, portando così il tempo complessivo per evadere un recesso a 28 giorni. I responsabili dei siti per l’ecommerce temono che una simile regola possa incentivare acquisti meno consapevoli da parte dei consumatori, tranquillizzati dalla possiblità di avere così tanto tempo per rimandare indietro il prodotto se non lo gradiscono. Aumenterebbero i costi di spedizione e ci sarebbe anche un maggiore impatto ambientale, con un aumento dei trasporti dei beni all’interno dell’Unione.
Infine, gli articoli 16 e 17 della proposta intendono modificare gli obblighi da parte dei venditori online nel caso di recesso.
Il rivenditore dovrà rimborsare qualsiasi pagamento ricevuto dal cliente, incluso, dove possibile, il costo di spedizione, senza un eccessivo ritardo e comunque non più tardi di 14 giorni dal giorno della notifica del recesso da parte del cliente, come previsto dall’articolo 14. […] Il rivenditore non sarà tenuto a rimborsare i costi aggiuntivi di consegna nel caso in cui il cliente abbia scelto un sistema di consegna diverso da quello standard.
I due articoli dimezzano l’attuale tempo per i rimborsi, portandolo da 30 a 14 giorni. In alcuni casi, spiegano le associazioni di categoria, questo porterebbe a dover rimborsare gli acquisti prima della riconsegna della merce e della verifica della sua integrità. Al di sopra dei 40 euro di spesa, le società di ecommerce sarebbero anche obbligate a rimborsare per intero le spese di reso.
I timori legati alle nuove proposte sul commercio elettronico sono in parte fondati. Le nuove regole che il Parlamento europeo vuole introdurre non sembrano destinate a tutelare gli acquirenti più di quanto non lo siano ora, ma solo a complicare la vita alle piccole realtà che hanno deciso di promuovere e vendere i loro prodotti su Internet.
In Europa ci sono circa 150 milioni di persone che consumano beni acquistati online e in Italia sono almeno 10 milioni. Il settore è in crescita da dieci anni e si è rivelato affidabile, anche se talvolta eccessivamente chiuso sulle singole realtà nazionali e poco aperto al mercato dell’Unione. Il rischio è che le nuove normative portino a un sensibile aumento dei prezzi online e alla rinuncia di molte aziende di piccole dimensioni di affacciarsi sulla Rete per vendere i loro beni.
Prima di diventare una direttiva europea a tutti gli effetti ed essere recepita dai singoli stati membri, la proposta sarà ancora discussa con il Consiglio dell’Unione Europa, che insieme al Parlamento europeo detiene il potere legislativo nell’Unione.