Quante ore di sonno ci servono?
Un articolo del New York Times spiega che se ne dormiamo meno di otto cominciamo a perderci dei pezzi, anche se non ce ne accorgiamo
A inizio aprile il Wall Street Journal si era occupato di una particolare categoria di persone, quelle che dormono poco per natura, spiegando che sono tra l’uno e il tre percento della popolazione e che hanno bisogno di poche ore per ricaricarsi e sentirsi riposate. Venerdì il New York Times è tornato sull’argomento con un articolo di Maggie Jones che spiega gli ultimi progressi raggiunti dalla ricerca sulla quantità di ore che dovremmo dormire per sentirci riposati.
Fino a una quindicina di anni fa si riteneva che quattro o cinque ore di sonno al giorno fossero sufficienti per non avere difficoltà cognitive durante la giornata. Si pensava anche che il corpo si abituasse in poco tempo a dormire poco, senza soffrire di particolari svantaggi. Queste teorie erano basate su ricerche che utilizzavano soggetti che non venivano seguiti per tutto il giorno, e che quindi forse recuperavano parte del sonno dopo i test dei ricercatori a casa con un sonnellino o qualche tazza di caffè.
Partendo da questi presupposti, David Dinges, dello Sleep and Chronobiology Laboratory della University of Pennsylvania, ha deciso di condurre uno studio più accurato per approfondire gli effetti della privazione del sonno su alcune decine di volontari. Nel 2003, insieme al suo collega, Hans Van Dongen, Dinges ha suddiviso i volontari in tre gruppi sulla base del numero di ore dormite al giorno per due settimane: quattro (gruppo A), sei ore (gruppo B) e otto ore (gruppo di controllo C).
Ogni due ore durante il giorno, i ricercatori hanno testato la capacità di ogni volontario di mantenere l’attenzione sulla base del PVT, il test di vigilanza psicomotoria, considerato un sistema molto affidabile per valutare le carenze di sonno. Durante il PVT, i volontari e le volontarie sono stati collocati davanti allo schermo di un computer per periodi di dieci minuti, con il compito di premere la barra spaziatrice ogni volta che appariva un numero a intervalli irregolari. Anche un mezzo secondo di ritardo nella risposta è l’indizio della mancanza di sonno, noto come microsonno.
Il PVT è un test relativamente noioso, ma non è difficile da fare se hai dormito un numero sufficiente di ore. I volontari del gruppo C hanno superato molto bene il test, senza far rilevare particolari perdite cognitive in due settimane. I partecipanti dei gruppi A e B hanno invece fatto rivelare un declino progressivo, giorno dopo giorno. I membri del gruppo A hanno fatto peggio di tutti nel PVT, ma ciò che ha sorpreso i ricercatori sono state le prestazioni molto deludenti anche dei volontari appartenenti al gruppo B, quelli che dormivano sei ore per notte. A partire dal sesto giorno, un volontario su quattro ha iniziato ad addormentarsi al computer durante il test. I ritardi cognitivi sono aumentati di cinque volte rispetto all’inizio dell’esperimento.
Il test condotto da Dinges, insieme ad altri esperimenti condotti in precedenza sempre sulla carenza di sonno, sembra indicare che otto ore siano la quantità di sonno ideale per riposare e conservare le capacità cognitive. Per capire quale sia la soglia al di sotto della quale le nostre capacità mentali iniziano a risentirne, Gregory Belenky del Walter Reed Army Institute of Research (Maryland), ha condotto uno studio simile variando maggiormente il numero massimo di ore di sonno concesse ai volontari: tre, cinque, sette e nove ore.
I volontari del gruppo da nove ore hanno dati risultati ai test simili a quelli del gruppo C di Dinges. Il gruppo con sette ore di sonno ha fatto invece registrare un sensibile calo nel PVT peggiorato progressivamente nel corso di tre giorni. Questo sembra indicare che la media di ore di sonno per persona negli Stati Uniti, 6,9 ore, non consenta a milioni di persone di dare il meglio durante la giornata.
Naturalmente le nostre vite sono piene di stimoli che mancano in un laboratorio per la misura del sonno: usiamo il caffè, luci intense, le chiacchiere in ufficio, tutte cose che funzionano come contromisura per combattere la sonnolenza. Questi rimedi possono funzionare per un certo periodo di tempo, però. Dopo una settimana a simili ritmi, si rimane svegli più a lungo, ma si è mentalmente meno vigili ed efficienti, cosa che alla fine porta a perdite di tempo e a prestazioni meno soddisfacenti.
I ricercatori non sono ancora in grado di dire con certezza se siano sufficienti i fine settimana per recuperare il sonno perduto e andare in pari. Per capirlo, Dinges ha da poco avviato un nuovo studio nel lungo periodo per valutare le nostre modalità di recupero del sonno. Studi precedenti sembrano comunque indicare che una sola notte di sonno più lunga delle altre non sia sufficiente per rimetterci in pari.
Non tutte le persone sono uguali, naturalmente: Dinges ha scoperto che alcuni individui che hanno bisogno di otto ore di sonno sentono immediatamente il peso di una notte da quattro ore, mentre altri impiegano più tempo prima che le loro capacità cognitive diminuiscano. (E prima o poi succede.) C’è una piccola porzione della popolazione – Dinges stima sia intorno al 5 percento – che, per ragioni genetiche, riescono a mantenere le loro capacità cognitive anche con solo cinque ore di sonno. (C’è anche una percentuale più piccola che ha bisogno di 9 o 10 ore.)
Lo studio di Dinges e Van Dongen ha messo in evidenza un altro dato molto interessante: siamo pessimi nel valutare quanto ci sentiamo riposati. Dopo l’esperimento durato 14 giorni, buona parte dei volontari ha detto di non sentire una particolare differenza rispetto al solito dovuta al minor numero di ore dormite, nonostante le loro prestazioni cognitive fossero diminuite notevolmente.