Impostori su Twitter
Le ricerche sulle possibilità di influenzare le opinioni sui social network con messaggi automatici
JamesMTitus è un appassionato di gatti, ha 24 anni e vive in Nuova Zelanda, ma non è un utente di Twitter come tutti gli altri. È un bot, un sistema automatico di risposta, creato per testare la reazione degli iscritti al social network e verificare se sia possibile influenzare il funzionamento e le dinamiche di una rete costituita da milioni di iscritti che ogni giorno interagiscono tra loro. L’esperimento è stato organizzato dal Web Ecology Project, un gruppo di ricerca di Boston che da tempo analizza i social network per comprendere in maniera approfondita le dinamiche sociali che si formano al loro interno.
L’organizzazione ha chiesto a tre gruppi di programmare alcuni “social bot” – delle false identità – in grado di imitare la conversazione e poi hanno scelto 500 utenti reali sul social network, la maggior parte dei quali condividevano una passione per i gatti. I neozelandesi hanno equipaggiato JamesMTitus con una serie di risposte generiche («Oh, è molto interessante questa cosa, dimmi qualcosa di più in merito») e lo hanno progettato per testare sistematicamente delle parti del network per i messaggi che ottenevano il maggior numero di risposte, e poi contattare le persone maggiormente reattive.
Terminata la prima settimana, ai tre gruppi è stato consentito di modificare leggermente i loro bot e di creare delle nuove identità secondarie, progettate per sabotare i loro concorrenti. Una di queste, botcops, ha iniziato a inviare dei messaggi di avviso agli utenti, consigliando loro di farsi qualche domanda su JamesMTitus. Uno degli iscritti ha così chiesto a JamesMTitus che cosa ne pensasse del messaggio di botcops, ottenendo risposte evasive che non hanno sostanzialmente consentito di scoprire che si trattava di un sistema di risposta automatico. Alla fine dell’esperimento, durato un paio di settimane, tutti e tre i team sono riusciti a far diventare i loro bot uno dei principali punti di riferimento della rete di utenti selezionata per i test.
La prova condotta su Twitter sembra confermare le conclusioni cui era giunta una precedente ricerca del Web Ecology Project realizzata per analizzare le reazioni in Iran dopo le elezioni del 2009. In quel caso i ricercatori notarono che solo un numero ristretto di persone era alla base della maggior parte dei messaggi pubblicati su Twitter per la protesta.
Da tempo i lobbisti cercano di condizionare il comportamento o le idee dei gruppi di persone, con esiti alterni. Capita anche online nelle piccole cose, per esempio sui siti di ecommerce dove gli stessi proprietari dei siti web spesso scrivono recensioni positive di ciò che vendono, nella speranza di far aumentare le vendite. La possibilità di utilizzare i “social bot” apre però nuovi scenari. Sono poco costosi e al tempo stesso possono raggiungere diverse migliaia di persone.
I dettagli che le persone rivelano sulle loro vite, su tweet e blog che possono essere ricercati e letti online, offrono ai bot la possibilità di recuperare le informazioni personali di cui hanno bisogno per funzionare. […] Il Web Ecology Project ha avviato un nuovo gruppo, chiamato Pacific Social, per progettare alcuni futuri esperimenti nel social networking, come creare bot “costruttori di connessioni” per mettere insieme gli attivisti che si battono per la democrazia in un certo paese, o quelli che promuovono abitudini di vita più sane.