L’attentato a Minsk
Le poche cose che si sanno sull'esplosione nella metropolitana che ieri ha ucciso 12 persone
Ieri a Minsk, in Bielorussia, una forte esplosione in una stazione della metropolitana ha ucciso 12 persone e ne ha ferite 126, di cui 22 sono ancora in gravi condizioni. L’esplosione sarebbe avvenuta in un affollato ascensore della stazione Oktyabrskaya, a poche centinaia di metri dalla residenza ufficiale del presidente Alexander Lukashenko.
Lo stesso presidente bielorusso Lukashenko in serata ha portato dei fiori sul luogo dell’esplosione e ha parlato alla popolazione dalla tv di Stato, rendendo noto che il presidente russo Dimitri Medvedev ha offerto alla Bielorussia di inviare una squadra di investigatori. «Devo ammettere che siamo stati duramente messi alla prova», ha detto Lukashenko, «dobbiamo dare una risposta adeguata». Lukashenko ha lasciato intendere che l’attentato potrebbe essere stato ordito all’estero: i servizi segreti bielorussi hanno reso noto di avere individuato un sospetto ma non hanno fornito ulteriori dettagli.
L’ultimo attentato subito dalla Bielorussia risale al 3 luglio del 2008, quando decine di persone furono ferite da un’esplosione in un parco dove si festeggiava il Giorno dell’indipendenza. Gli attentatori non furono mai trovati ma Lukashenko approfittò dell’attentato per raccogliere le impronte digitali di tutti gli uomini adulti del paese.
Aleksandr Lukashenko è spesso definito “l’ultimo dittatore d’Europa”. Si è scritto di lui spesso, prima per via dei suoi rapporti con il presidente Berlusconi, l’unico capo di governo occidentale ad aver visitato la Bielorussia negli ultimi anni, e poi in occasioni delle elezioni presidenziali dello scorso dicembre, vinte da Lukashenko come ampiamente previsto e alle quali seguirono proteste e accuse di brogli da parte degli osservatori internazionali. Almeno trenta attivisti dell’opposizione, inclusi gli ex candidati alle presidenziali Nikolay Statkevich e Andrei Sannikov, sono ancora in stato di arresto e rischiano oltre quindici anni di prigione per aver partecipato alle proteste la notte delle elezioni.