L’ateismo difensivo
Uno studio su New Scientist distingue tra chi è privo di fede e chi se ne sente assediato
di Ivan Costantino
Jonathan Lanman è un antropologo e fa ricerca sui non credenti. In un recente articolo su New Scientist, Lanman – a differenza di chi vede l’ateismo come prodotto della razionalità e di crescenti livelli d’istruzione – propone la tesi che l’ateismo sia irrazionale tanto quanto la religiosità.
Partendo dal presupposto che l’esistenza di credi religiosi sia universale e allo stesso tempo colpito dalla crescente popolarità dell’ateismo, Lanman ha condotto ricerche tra gruppi di non credenti in Scandinavia e Nord America. Sulla base di questi studi, Lanman fa una distinzione fondamentale tra il ‘non-teismo’, ovvero il non credere nell’esistenza di un agente soprannaturale, e l’‘ateismo forte’, cioè l’essere moralmente contrari a valori e credi religiosi. Il non-teismo – apparentemente caratteristico della Svezia e della Danimarca – sarebbe legato alla relativa “sicurezza esistenziale” garantita dalle numerose politiche di welfare e dalla mancanza di grosse minacce di natura economica e sociale in Scandinavia.
Secondo Lanman, tuttavia, questo legame tra sicurezza esistenziale e non-teismo non deve portare a credere che la religione sia semplicemente una fonte di “conforto” e sollievo in tempi di difficoltà. Lanman propone la tesi che invece la presenza di una minaccia possa portare alla formazione tanto di comunità religiose quanto di gruppi atei ‘attivi’. Nel caso di questi ultimi, particolarmente in Nord America, la minaccia sarebbe quella posta dalla religione al secolarismo:
Possiamo spiegare in parte il sentimento e le attività di ateismo forte come risultato delle minacce religiose a questa visione laica della società. Le prove a supporto sono sia cronologiche che geografiche. Cronologicamente, troviamo Sam Harris che scrive La fine della fede in risposta all’11 settembre; ateisti forti che negli Stati Uniti prendono spunto da L’illusione di Dio di Richard Dawkins e si iscrivono ad associazioni atee dopo la rielezione di George W. Bush; ed i molti danesi iscrittisi all’Associazione Atea Danese dopo la polemica delle vignette su Maometto.
Le prove di natura geografica possono essere individuate nella differenza tra Stati Uniti e Danimarca. Negli Stati Uniti, dove molti cristiani conservatori non nascondono il loro desiderio di governare secondo principi ‘biblici’, troviamo centinaia di associazioni atee e migliaia di persone che considerano la religione immorale e come un qualcosa da combattere attraverso il dibattito. In Danimarca e Svezia, dove è scarso il pericolo che i politici governino secondo principi religiosi, troviamo meno associazioni atee e, all’interno delle poche che esistono, un’attività molto meno intensa.
A differenza di chi vede nell’ateismo la massima espressione della razionalità (la cosiddetta “Enlightenment assumption”, o premessa illuminista), Lanman propone che la crescita di fenomeni di ateismo “attivo” sia in parte motivata dalla difesa di un’ideologia piuttosto che da un uso imparziale della ragione, e ne conseguano argomentazioni ugualmente irrazionali:
I nostri credi, comportamenti e sentimenti morali non sono semplicemente il risultato di una ragione spassionata. Come psicologi e antropologi sostengono da qualche tempo, capirli implica considerare sia quella che potremmo definire la ‘natura umana’ sia i particolari contesti socio-culturali in cui la gente vive. Questo è vero tanto per l’ateismo quanto per la religione.
foto: un’opera di Maurizio Cattelan, esposta alla Royal Academy di Londra
e fotografata da Hugo Philpott per AFP/Getty Images