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  • Venerdì 8 aprile 2011

Chi era il killer dell’antrace?

La storia delle indagini sugli attentati che contagiarono 22 persone nel 2001

di Giovanni Zagni

UNDATED: (FILE PHOTO) The FBI released this photograph of the envelope that was sent to NBC News anchor Tom Brokaw, which contained anthrax. The Washington Post reported on May 11, 2003 that a Maryland pond may be drained after U.S. officials said it could have been the site where anthrax used in a series of mail attacks that killed five people in 2001 was assembled. (Photo by FBI/Getty Images)
UNDATED: (FILE PHOTO) The FBI released this photograph of the envelope that was sent to NBC News anchor Tom Brokaw, which contained anthrax. The Washington Post reported on May 11, 2003 that a Maryland pond may be drained after U.S. officials said it could have been the site where anthrax used in a series of mail attacks that killed five people in 2001 was assembled. (Photo by FBI/Getty Images)

A metà agosto del 2008, l’FBI tenne una conferenza stampa al suo quartier generale di Washington. E dichiarò concluse le indagini sulle lettere all’antrace che avevano terrorizzato il paese tra settembre e novembre 2001, negli Stati Uniti appena sconvolti dall’attacco alle Torri Gemelle. Al termine di sette anni di indagini, l’FBI riteneva di avere prove sufficienti per indicare il colpevole all’opinione pubblica. Ma non ci sarebbe stato nessun processo, nessuna difesa in tribunale, nessuna condanna: l’uomo in questione si era ucciso tre settimane prima.

In un articolo sull’ultimo numero dell’edizione americana di Wired, Noah Shachtman racconta come si arrivò ad indicare un microbiologo di sessantadue anni che lavorava per il governo, Bruce E. Ivins, come responsabile degli attacchi all’antrace. E perché, mentre le autorità concludevano le indagini, cominciarono i dubbi sulla sua colpevolezza.

Le lettere
Il 5 ottobre 2001 Bob Stevens, addetto alla sezione fotografica del tabloid Sun, morì a 63 anni in un ospedale della Florida. Il weekend precedente era andato a trovare la figlia in North Carolina in compagnia della moglie Maureen. Durante la visita Bob aveva iniziato a sentirsi poco bene. Manifestava i sintomi di una normale influenza: un po’ di febbre, qualche brivido. Dopo il weekend, la moglie guidò per tutta la strada del ritorno fino in Florida, mentre Bob sudava freddo sul sedile del passeggero. Verso le due del mattino del 2 ottobre, tornati a casa, suo marito faceva fatica a respirare e si aggirava per le stanze in stato confusionale, provando a infilarsi i vestiti e dicendo che doveva andare al lavoro. La moglie, spaventata, lo mise in macchina e lo portò all’ospedale. Bob entrò in coma poco dopo il ricovero e morì nel giro di tre giorni. I medici pensarono inizialmente a una meningite, ma i primi test diedero esito negativo. Alla fine identificarono la malattia che aveva ucciso Bob. Si trattava di antrace polmonare: una malattia endemica tra le pecore, i bovini e i maiali, ma rarissima nell’uomo. Negli Stati Uniti se ne erano registrati solo diciotto casi negli ultimi cento anni, l’ultimo dei quali nel 1976. Sembrava un caso isolato. Forse Stevens lo aveva contratto accidentalmente durante le passeggiate per i boschi del North Carolina.

Il 12 ottobre, una lettera piena di spore di antrace fu ritrovata alla sede del network televisivo NBC, a New York. Una settimana dopo, un’altra busta che conteneva una polvere marrone fu ritrovata dagli agenti dell’FBI negli uffici del New York Post. La polvere si rivelò antrace. Nei giorni successivi due dipendenti delle televisioni ABC e CBS contrassero la malattia, anche se non si trovarono mai lettere o pacchi sospetti. Un secondo gruppo di lettere, dirette ai senatori democratici Tom Daschle e Patrick Leahy, non arrivarono ai destinatari ma infettarono una decina di persone lungo il percorso attraverso gli uffici postali. Anche Stevens, chiariranno le indagini, aveva contratto la malattia il 19 settembre 2001, dopo aver aperto una busta indirizzata all’American Media Inc., la società a cui apparteneva il Sun.

In totale, almeno ventidue persone svilupparono la malattia, nella forma cutanea o nella più mortale forma polmonare, e cinque di queste morirono. Non si riuscirono mai a ricostruire tutte le fasi del contagio: l’ultima vittima, ai primi di novembre, fu una vedova di 94 anni di Oxford, una cittadina rurale del Connecticut. Viveva sola e non vedeva quasi nessuno. Tutte le buste contaminate che si riuscirono a rintracciare avevano il timbro postale di Trenton, New Jersey.

Le indagini
Le autorità impiegarono qualche giorno prima di rendersi conto che la nazione era sotto un nuovo attacco terroristico. L’FBI sapeva a chi rivolgersi per le prime indagini: un ricercatore della Northern Arizona University, Paul Keim, doveva il suo nome nella comunità scientifica proprio ad un test del DNA che permetteva di distinguere l’una dall’altra le diverse varietà del batterio Bacillus anthracis, il microorganismo che causa la malattia nota come antrace o carbonchio. Si scoprì che quella usata negli attacchi apparteneva ad un ceppo particolarmente potente, denominato Ames, usato in almeno una dozzina di laboratori di ricerca degli Stati Uniti per testare i vaccini e le nuove cure per la malattia. Migliaia di ricercatori avevano avuto a che fare con il tipo Ames, ma distinguere l’uno dall’altro i vari stock usati nei laboratori era molto difficile, perché discendevano tutti dai batteri isolati in una mucca morta a Sarita, Texas, nel 1981.

Difficile, ma non impossibile. Il test di Keim utilizzava una porzione minuscola del DNA del batterio: per fare passi avanti nelle indagini, forse era necessario decodificarlo tutto. Si trattava di riconoscere l’ordine e la precisa combinazione nei quali si succedevano le cinque basi che formavano il DNA, legate in milioni di coppie all’interno della celebre struttura a doppia elica. Un lavoro che avrebbe richiesto molti mesi e un sacco di soldi. Negli Stati Uniti c’era una persona sicuramente in grado di farlo, e si chiamava Claire Fraser-Liggett. Nel 1995, lei e il suo team erano stati i primi a mappare l’intero genoma di un batterio, e il suo ex marito, John Craig Venter, divenne celebre per il progetto partito a fine anni ’90 di decodificare completamente il genoma dell’uomo. Fraser-Liggett iniziò a lavorare su un campione tratto dal midollo spinale della prima vittima, Bob Stevens, mentre gli attacchi erano ancora in corso. Ma ci sarebbe voluto parecchio tempo per arrivare a qualcosa, mentre George W. Bush in persona faceva pressione sull’FBI perché si arrivasse in fretta a risultati concreti. Parecchia gente era in preda al panico. Quando le scorte dell’antibiotico più efficace contro l’antrace, il Cipro, cominciarono a scarseggiare, qualcuno prese la macchina e andò a comprarlo in Canada.


Il primo sospetto
Parallelamente alle indagini scientifiche, l’FBI procedette anche con i metodi più tradizionali, tracciando un profilo psicologico dell’attentatore. La lettera indirizzata al senatore Leahy aveva un testo, cinque righe scritte in caratteri incerti: “09-11-01 / THIS IS NEXT / TAKE PENACILIN NOW / DEATH TO AMERICA / DEATH TO ISRAEL / ALLAH IS GREAT”. La pista del terrorismo islamico, però, non era plausibile. La data era scritta al modo americano, con il numero del mese che precedeva quello del giorno. Un fedele musulmano, poi, avrebbe molto probabilmente messo l’invocazione religiosa in apertura, e avrebbe usato piuttosto la formula araba, Allahu akbar. Chi tracciò il profilo concluse che si trattava di una persona con problemi di socializzazione, molto istruita e in possesso delle raffinate conoscenze tecniche necessarie per maneggiare spore di antrace. Le lettere non avevano tracce di DNA umano, né impronte digitali.

Gli investigatori passarono al setaccio il personale dei laboratori scientifici pubblici e privati che avevano accesso a campioni di antrace per le loro ricerche. I primi sospetti caddero su Steven Hatfill, un microbiologo che aveva studiato in Sudafrica e Zimbabwe, e che lavorava per la SAIC, una grande azienda del settore della ricerca tecnologica. Era un ex soldato dal fisico massiccio che aveva pubblicato sulla rivista conservatrice Insight un articolo in cui metteva in guardia sulla facilità con cui si potevano sviluppare agenti patogeni per la guerra batteriologica in una normale cucina. Alla SAIC aveva illustrato attraverso presentazioni PowerPoint i rischi di un attacco terroristico che utilizzasse armi batteriologiche, scegliendo proprio l’esempio di lettere contaminate con l’antrace. Si scoprì che millantava un inesistente passato nelle forze speciali, e che aveva dichiarato titoli di studio mai conseguiti.

Per diversi mesi, la stampa lo presentò all’opinione pubblica come il principale sospettato e il probabile mostro delle lettere all’antrace. Hatfill perse il lavoro alla SAIC e la sua fama gli impedì di trovarne un altro. Quando gli agenti dell’FBI andarono a perquisire casa sua, nel giugno del 2002, la trovarono circondata dai microfoni e dalle telecamere: l’evento venne trasmesso in diretta dai canali televisivi. Ma le indagini su di lui non portarono a nessun risultato.

Hatfill ebbe la vita e la carriera rovinata da mesi di supposizioni, di dichiarazioni incaute delle autorità e di assedio da parte delle troupe televisive. Nel 2003 fece causa al Dipartimento della Giustizia e la vinse, ricevendo un indennizzo di 5,8 milioni di dollari. Fece causa anche al New York Times e a Vanity Fair, perdendo nel primo caso e raggiungendo un accordo nel secondo, i cui termini non sono stati resi pubblici.


Bruce Ivins
Nell’ottobre 2003, intanto, Claire Fraser-Liggett e i suoi collaboratori avevano terminato l’enorme lavoro sul DNA dell’antrace preso dal corpo di Stevens e lo avevano confrontato con il campione di Ames più vicino a quello isolato nel 1981. Dalle differenze avrebbero capito quanti e quali modifiche aveva subito l’antrace a disposizione dell’attentatore e, forse, avrebbero potuto ricostruirne la storia attraverso i laboratori del paese. Ma i due campioni erano identici. Nessuna differenza, nessuna possibilità di individuare un preciso stock di laboratorio in base al DNA. Per due anni avevano seguito una costosissima e complicatissima pista morta.

Bisognava cambiare strada. La tattica alternativa migliore consisteva nel lasciar crescere le colonie di antrace per due o tre giorni più del tempo usuale nei laboratori di ricerca, e osservare la diversità nell’aspetto esteriore delle colonie sui vetrini. Piccole alterazioni del DNA dei batteri, invisibili al primo esame condotto da Fraser-Liggett, avrebbero reso forse possibili cambiamenti più macroscopici utili per distinguere i singoli campioni. L’FBI si era intanto fatta inviare un campione da ogni laboratorio degli Stati Uniti che avesse utilizzato l’antrace. Erano migliaia di provette e la raccolta era andata avanti per mesi.

Con questo metodo si trovarono diversi campioni interessanti, in cui i batteri si sviluppavano riproducendo esattamente i quattro tipi principali, classificati in base al colore e alla forma, che nascevano nelle colture usate negli attentati. Ma c’era qualcosa che non tornava: si trattava di batteri di Ames inviati dal laboratorio di Battelle, nell’Ohio, che li aveva avuti inizialmente da un ricercatore dell’USAMRIID, Bruce Ivins. Ivins aveva sviluppato, nel 1997, una grande quantità di antrace Ames molto potente, il distillato di 164 litri di antrace proveniente da 35 cicli di produzione diversi e concentrato in un litro puro. Il recipiente di laboratorio aveva un’etichetta che lo contrassegnava con la sigla RMR-1029. Da mesi Ivins aveva mandato all’FBI un campione proveniente da RMR-1029, ma da questo, si accorse con stupore il ricercatore incaricato dei controlli, si sviluppavano colture dall’aspetto completamente diverso. Ivins non aveva mandato il campione giusto all’FBI.

Bruce Ivins lavorava allo United States Army Medical Research Institute of Infectious Diseases (USAMRIID) da più di vent’anni. Si tratta di un istituto di proprietà dell’esercito americano e sembra nato apposta per dare realtà ai sogni dei fanatici complottisti o dei film di fantascienza. Sede del programma di sviluppo delle armi chimico-batteriologiche degli Stati Uniti prima della sua interruzione intorno al 1970, si trova all’interno della base di Fort Detrick, Maryland, e impiega ricercatori civili e militari per studiare vaccini, farmaci e contromisure difensive in caso di attacco batteriologico. È l’unico laboratorio dipendente dal Ministero della Difesa attrezzato per maneggiare i patogeni di classe 4, ovvero gli agenti biologici di massima pericolosità, quelli che causano malattie per i quali spesso non esistono vaccini, come i virus Ebola e Marburg.

Alto e magro, figlio di un farmacista dell’Ohio, Bruce Ivins era molto attivo nella vita sociale dell’istituto. Faceva volontariato alla Croce Rossa e suonava la tastiera in un gruppo rock. Alle feste beveva pochissimo ma se qualcuno gli capitava a tiro poteva bloccarlo parlandoci per ore, raccontando barzellette dall’umorismo discutibile. Girava ai colleghi mail con foto di gattini e si vestiva con camicie a fiori troppo strette. I suoi collaboratori lo trovavano generoso e stravagante, persino per gli standard piuttosto tolleranti dell’USAMRIID.

Bruce aveva lavorato per anni a sviluppare colture di antrace, collaborando alla ricerca di nuovi vaccini per la malattia. L’FBI si era rivolta da subito al laboratorio dell’esercito per avere supporto nelle indagini e Ivins, in qualità di esperto, aveva mostrato grafici e dati agli investigatori sulle varietà del batterio. Aveva anche aperto la busta indirizzata al senatore Daschle, sotto gli occhi dei colleghi, in una cabina a tenuta stagna, scuotendo la polvere di antrace superconcentrato ed essiccato. «Non ho mai visto niente del genere», aveva detto. In uno dei primi incontri con gli investigatori, spiegò che l’antrace trovato nella lettera a Daschle era radicalmente diversa dai campioni che maneggiava nel suo laboratorio. “Daschle ≠ B. I. cultures”, aveva scritto a chiare lettere su un pannello.

Ma ora c’era il problema – il grosso problema – del campione fornito per gli esami dell’FBI.


La fine
Gli investigatori si concentrarono su Ivins e presto cominciarono ad emergere aspetti della sua personalità che mettevano in crisi il ritratto rassicurante che ne facevano amici e colleghi: lunghe ore in volontario isolamento negli stanzoni dell’USAMRIID, frequenti e inspiegabili tragitti in macchina verso mete ignote che non comunicava alla moglie, email a una studentessa di biologia che mostravano un morboso interesse per le attività della confraternita femminile Kappa Kappa Gamma.

Nel dicembre del 2003, l’FBI sequestrò l’intero flacone marcato RMR-1029. Le colture che ne derivarono erano identiche a quelle che si sviluppavano dall’antrace delle lettere. Intanto le indagini sulla corrispondenza privata di Ivins avevano mostrato una persona estremamente fragile e insicura, che scriveva di temere per la sua salute mentale e di sospettare di essere affetto da schizofrenia. Ivins veniva sentito sempre più spesso, mentre le indagini erano cresciute fino a produrre centinaia di migliaia di documenti: i dati erano contraddittori, e nonostante i grandi sforzi i risultati tardavano ad arrivare. Non si riusciva a trovare nessun testimone, nessuna confessione e nessun movente comprensibile. Altri sette campioni, tra centinaia, avevano sviluppato colture simili a quelle delle lettere e di RMR-1029. Come scrive Wired, contro Ivins c’erano in concreto «solo dati scientifici complessi, coincidenze difficili da spiegare e strani comportamenti».

La pressione su Ivins cominciò a cambiare il suo carattere di bonaccione alla mano. Iniziò a bere sempre più spesso e a fare discussioni accese con la moglie, con cui viveva a due passi dalla base. Ora, nelle sue email, parlava spesso di aver sprecato la sua vita nei corridoi senza finestre dei laboratori e di voler lasciare l’USAMRIID. Il primo novembre 2007, alla fine, l’FBI si decise per una perquisizione a casa sua. Quando si presentò al lavoro, quella mattina, lo chiusero insieme agli agenti nella stanza delle riunioni e iniziarono a fargli parecchie domande con tono deciso. Nel 2002 aveva mandato i campioni sbagliati. Perché? Il ricercatore non riusciva a dare risposte convincenti, era in difficoltà, si muoveva nervosamente e parlava in modo confuso. Disse persino che, in realtà, lui dell’antrace non era così esperto. Ma quando gli agenti gli chiesero della sua ossessione per la confraternita femminile e delle sue attenzioni pressanti verso una studentessa di biologia, Ivins si ammutolì e incrociò le braccia, mettendo fine all’interrogatorio. Al momento di tornare a casa, alle otto di sera, lo portarono in albergo insieme alla moglie e ai due figli che la coppia aveva adottato.

La perquisizione si concluse alle cinque di mattina. In casa di Ivins non si trovò nulla. O meglio: si trovarono molte cose strane, parrucche da donna, lettere alla stampa e ai politici, fogli di carta con annotazioni che testimoniavano delle ossessioni di Ivins e tre pistole. Niente che potesse costituire un collegamento diretto con le lettere all’antrace, però.

Ivins rimase molto scosso dall’episodio. Sospettava dei suoi colleghi, anche di quelli che erano stati i suoi amici più stretti negli anni dell’USAMRIID. Rimaneva immobile nel suo ufficio per ore, a fissare il soffitto. A gennaio e febbraio del 2008 gli interrogatori dell’FBI scavarono nelle vicende più personali di Ivins. Seguendo le sue ossessioni, come lui stesso le definiva, aveva fatto lunghi viaggi da solo per vandalizzare la casa della studentessa della KKG. La moglie ne era all’oscuro. L’uomo parlò delle sue preferenze sessuali e della sua attrazione per il bondage. Alla fine gli agenti gli misero davanti il grafico che aveva tracciato circa sei anni prima, nel 2002, quello su cui aveva scritto “Daschle ≠ B. I. cultures”. Ivins non sembrava nemmeno ricordare di aver tracciato quel grafico.

Il 19 marzo Ivins fu ricoverato per aver preso troppe pillole e bevuto troppo alcool: dopo di che rimase quattro settimane in una clinica per malattie mentali del Maryland, ma al ritorno non sembrava essere molto migliorato. Durante gli incontri di terapia di gruppo a cui prendeva parte, faceva discorsi violenti che parlavano di pistole e di fare giustizia da solo di tutte le persone che gli avevano fatto del male.

Il giorno dopo uno di questi, gli agenti andarono a prenderlo all’USAMRIID e lo portarono all’ospedale perché il suo stato di salute venisse monitorato. Non lo arrestarono. Passò poco tempo e, la notte tra il 26 e il 27 luglio 2008, la moglie di Ivins trovò il marito incosciente sul pavimento del bagno. Aveva ingerito quasi due tubetti di un potente analgesico, il Tylenol PM: l’overdose causava lancinanti dolori addominali e la morte per il lento collasso del fegato. Ivins morì due giorni dopo.


Il colpevole?
Il Dipartimento della Giustizia impiegò un anno e mezzo per stilare la redazione finale che dichiarò chiuso il caso, migliaia di pagine di documenti e allegati che circostanziavano le accuse verso un unico sospettato, Bruce Ivins. Secondo la ricostruzione, il microbiologo aveva agito da solo. Diverse persone, anche tra chi aveva collaborato attivamente alle indagini, sollevarono da subito dubbi e obiezioni sulle conclusioni dell’inchiesta.

Claire Fraser-Liggett si sente tuttora a disagio quando è costretta a ripensare alla lunga inchiesta sull’antrace. Rimangono aspetti da chiarire anche sul versante scientifico: i trenta campioni presi dal flacone RMR-1029 avevano sviluppato le colture con le caratteristiche sospette solo in sedici casi su trenta. E comunque, diversi altri ricercatori dell’USAMRIID avevano accesso al litro di antrace distillato da Ivins. La stessa raccolta dei campioni messa insieme dall’FBI da tutti i laboratori del paese non meritava troppo affidamento. Troppi campioni erano frutto di incroci e manipolazioni; circa il 10 per cento manifestava almeno una delle quattro caratteristiche delle colture tratte dalle lettere contaminate. Oltre a un’obiezione più basilare: erano gli stessi ricercatori a inviare le provette, senza nessun controllo. Come aveva dimostrato il caso di Ivins, scoprire se qualcuno aveva mandato un campione manipolato era molto difficile.

E poi c’era un problema di tempi, di modi e di luoghi. Quando e dove Ivins avrebbe potuto crescere le spore? Ogni lettera conteneva una quantità enorme di spore, lo stato “dormiente” a cui si riduce il Bacillus anthracis in condizioni avverse, che può durare decine o centinaia di anni. Difficile che nessuno dei suoi colleghi notasse un’attività parallela che avrebbe impegnato Ivins per diverse settimane. Ivins, poi, aveva lavorato esclusivamente con spore umide: diversi esperti dell’USAMRIID hanno messo in dubbio che avesse le conoscenze necessarie per produrre e maneggiare le spore secche. Oltre a questo, nessuna traccia di antrace venne trovata a casa del ricercatore e solo molto poche nel suo laboratorio, anche se le lettere avevano contagiato pile intere di buste e pacchi nei magazzini postali con diversi grammi di antrace.

Infine, il problema del movente. Secondo l’indagine finale, Bruce Ivins sarebbe diventato l’Anthrax killer per far risvegliare l’interesse dell’opinione pubblica sui rischi dell’antrace e rivitalizzare i finanziamenti per un nuovo vaccino, che intorno al 2001 erano andati lentamente calando. Nulla più di questo. Gli investigatori dicono che le normali regole della logica non sono efficaci per capire cosa si aggirasse nella mente disturbata di Ivins.

Ma sospendere le regole del ragionamento rende virtualmente possibile ogni cosa. Di sicuro, molte persone nel pieno possesso delle loro facoltà mentali hanno messo in dubbio i risultati di una delle indagini più costose e complesse nella storia degli Stati Uniti. Sono arrivati alla conclusione che quelle indagini abbiano messo alle strette il bersaglio sbagliato, e che il killer dell’antrace non sia mai stato catturato.

foto: FBI/Getty Images