Decida la Corte Costituzionale
Michele Ainis spiega perché il conflitto di attribuzione è una procedura che deve rassicurare
Sul Corriere della Sera il giurista spiega quali sono le implicazioni dell’aver sollevato il conflitto di attribuzione sulle accuse nei confronti de PresdelCons per il “caso Ruby”.
Un conflitto di attribuzione non è una guerra nucleare. Serve piuttosto a garantire l’ordine nel nostro condominio pubblico, e dunque la pace fra i condomini. Perché restituisce chiarezza ai rapporti fra i poteri dello Stato, scolpendo il perimetro delle rispettive competenze. E perché le democrazie non temono i conflitti, al contrario dei regimi autoritari. Questi ultimi hanno la pessima abitudine d’occultarli, oppure di narcotizzarli. Le democrazie ne fanno viceversa uno strumento di crescita civile. E per dirimerli s’affidano alle regole giuridiche, anziché alla forza bruta. Dopotutto il diritto è esattamente questo: una tecnica di risoluzione dei conflitti. Ecco perché la Costituzione li contempla perfino al massimo livello dell’ordinamento, lassù dove torreggia la politica. Insomma sbaglieremmo a menare scandalo per la reazione parlamentare al caso Ruby, per il voto con cui la Camera si è appellata alla Consulta. L’uso di questo strumento processuale è fisiologico; semmai ne è patologico l’abuso. Nel 1961, quando lo Stato italiano festeggiava il suo primo secolo di vita, i conflitti tra poteri formavano una cifra tonda come un uovo: zero. Dieci anni dopo furono in tutto 2, vent’anni dopo 3. Ma nel 2000 ne contammo 42, e anche fanno scorso — pur in flessione rispetto ai picchi precedenti — ne sono stati iscritti a ruolo 12. Colpa della rissa permanente fra politica e giustizia, che ha intossicato la Seconda Repubblica ben più della Prima. Ma questo clima avvelenato ci ha inoltre reso spettatori di un teatro dell’assurdo, di una fiera dell’ossimoro.
(continua a leggere sulla rassegna stampa del Ministero dell’Economia)