La dignità di Schwarzenegger
La fine della sua carriera politica, raccontata da Enrico Deaglio sul nuovo GQ e dalle foto di una eclettica carriera
di enrico deaglio
È uscito in edicola il primo numero della nuova versione di GQ, mensile affidato da poco alla direzione di Gabriele Romagnoli, che gli ha imposto un taglio nuovo fatto anche di temi e collaborazioni più “giornalistici” di quelli di solito presenti nella categoria dei giornali definiti “maschili”. Ma GQ è stato anche ridisegnato, e ripensato il suo sito, e merita di essere tenuto d’occhio con nuova attenzione. Nel nuovo numero, assieme al racconto di Paolo Sorrentino dal ballo delle debuttanti di Vienna, a un racconto di Jonathan Safran Foer, a una raccolta di obiezioni alla beatificazione di papa Wojtyla e altro ancora, c’è un bel ritratto di Arnold Schwarzenegger e delle sue gesta scritto da Enrico Deaglio.
Negli uffici del governatore della California, a Sacramento, ha lasciato – a perenne ricordo del suo passaggio – la spada che brandiva nel film Conan il Barbaro. Nel paese natale di collocata – a sue spese – la statua alta tre metri, in mutandine e in posizione da discobolo, che lo raffigura come il “Sette volte Mr. Olympia”, ovvero il più grande body builder del Ventesimo Secolo.
Così esce di scena Arnold Schwarzenegger; la più imponente montagna di muscoli prestata al Partito repubblicano americano torna al cinema. Un Terminator n. 5 sarebbe la soluzione più scontata – il suo nome sul cartellone vale da solo duecento milioni di dollari – ma l’uomo ha 64 anni ed è fuori allenamento. Ma un’altra sceneggiatura lo tenta: la parte del colonnello tedesco Klaus von Ostermann, croce di ferro per la campagna di Russia, capo di un leggendario drappello delle Aquile Nere, cui le SS danno l’ ordine di uccidere cinquemila prigionieri di guerra americani detenuti in un campo in Germania.
Il Nostro – nobile prussiano, con un gracile fratello prete e lui stesso cristiano convinto – invece li salva, proprio mentre i russi stanno entrando a Berlino. Sfoggio di eroismo, fraternità, coraggio e inventiva da parte degli americani e del tedesco. Il nazista buono, insomma, potrebbe essere la sua ultima reincarnazione. Se in Conan diceva: «La cosa che mi piace di più? Uccidere i miei nemici e sentire gemere le loro mogli» e in Terminator: «Mi sei simpatico, ti ucciderò per ultimo», tra un anno potremmo sentirgli dichiarare: «Un leader è sempre solo, all’inizio», «Passami il panzerfaust, sì, insomma, il bazooka» e vedere un commilitone che gli si rivolge così: «Non ti avevo mai visto pregare, Thal, (duemila abitanti vicino a Graz, Austria), sarà Ostermann». E Ostermann–Schwarzenegger: «Questo non significa che non lo facessi».
Che cosa sceglierà, ancora non si sa. Ma, dalla carne allo spirito, passando per la politica, la vita di Arnold Schwarzenegger ha comunque qualcosa di eccezionale. Il più grande successo di un immigrato di prima generazione; e non poteva che svolgersi in California.
C’era una volta in Austria
Pensate a un ragazzone che nasce appena dopo la guerra in un paesino dell’Austria, figlio di un poliziotto nazista che lo picchia regolarmente; famiglia così povera che non hanno un frigorifero e mangiano la carne una volta alla settimana. Arnold, che non ama la scuola, si sfoga in palestra e comincia a partecipare a qualche gara di culturismo. I suoi idoli: Steve Reeves, quello che fece fortuna a Cinecittà con Ercole; Johnny Weissmuller, che interpretava Tarzan; Mickey Hargitay, che aveva sposato la bionda Jayne Mansfield.
Il ragazzo comincia a vincere davvero e Joe Weider, il re degli impresari del Body Building, se lo porta a Los Angeles, che è la Mecca del culturismo, delle palestre, degli steroidi, della Mistica del sollevamento pesi, delle diete, della forza di volontà e del sudore della fronte. Il luogo principe in cui si impara la posizione dell’Ercole Farnese e quella del David di Michelangelo.
È un mondo particolare: quello che alla stragrande maggioranza delle persone dotate di senso estetico appare come una orribile deformazione del corpo umano, produce invece concorsi, premi, attrezzatura, giornali (che gli edicolanti tendono a mettere accanto a quelli porno), esibizioni, e un’epopea di esseri dall’umanità primordiale che si riscattano dalla miseria scolpendo il proprio corpo. Il nostro Arnold, che parla un rudimentale inglese con un terribile accento tedesco, diventa la star di questo mondo grazie a un film-culto, Pumping Iron, anno 1977, la storia dei finalisti al concorso di Mr. Olympia a Pretoria, in Sudafrica. Se la deve vedere con Lou Ferrigno, il figlio di un ufficiale di polizia di New York. Riuscirà a batterlo, ma i due restano amici (Lou diventerà poi L’incredibile Hulk della serie televisiva). Arnold lo è anche di un altro concorrente, il nostro Franco Columbu, appena 1,65 di altezza, sardo di Ollolai, in provincia di Nuoro, che diventerà suo socio d’affari e miliardario come lui; curiose immagini mostrano il paese natale con padre e madre in costume tradizionale, mentre la popolazione ammirata lo osserva quando, con la sola forza delle braccia, sposta una macchina che ostruisce un passaggio.
Ecco Arnold – capelli neri con il tirabaci, occhi allegri, simpatico – che racconta il sollevamento pesi come un orgasmo continuo; ecco Arnold che si allena tenendo sulla schiena due ragazze bionde che gli fanno da contrappeso; ecco Arnold che festeggia la vittoria con lunghi tiri di marijuana. È nato un fenomeno, la “Quercia austriaca”; quello che non era riuscito a Steve Reeves, fermatosi a Cinecittà, riesce invece a Schwarzenegger: conquista Hollywood.
Il sogno americano
Nel 1982 John Milius, Oliver Stone e James Cameron (non proprio gli ultimi arrivati) disegnano per lui Conan il barbaro, la forza bruta che emerge dagli abissi del tempo, lo schiavo che spezza le catene in un trionfo di pettorali e deltoidi. Secondo i critici, l’attore, nella gamma tra A e Z, ha solo due espressioni: «La A e un po’ di B». Ma gli sono sufficienti.
Due anni dopo, Terminator è la sua apoteosi (ripensandoci, erano i tempi in cui l’America faceva ancora finta di essere una bambinesca padrona del mondo; ma il quarto e ultimo della serie, Salvation, è un flop al botteghino: stride troppo con la realtà post 11 settembre).
La California gli è amica. Schwarzenegger ha un certo gusto per gli affari; comincia con la vendita per corrispondenza di manuali di body building, quindi inizia a comprare quote di palestre, poi centri commerciali. Incredibile solo a pensarci, ma quell’ammasso di muscoli austriaco sposa nel 1986 la giornalista televisiva Maria Shriver, nipote di John Kennedy e figlia di Sargent Shriver, una delle icone dei liberal americani, il fondatore dei Peace Corps. E, ancora più incredibile, al vecchio Sargent quell’omone dall’accento tedesco non è affatto antipatico.
Arnold lo ascolta e accetta i suoi consigli. Nel 2003, “Schwarzy” è un tipo veramente inusuale: eroe popolare, mito dei bambini, uomo d’affari milionario, icona del culturismo, padre di quattro figli avuti con Maria, a 55 anni vanta ancora un fisico eccezionale (1,88 per 106 chili quando è in forma, 113 a riposo) e non è morto, come le malelingue gli avevano previsto, per abuso di steroidi. Cosa fa uno così, a quell’età? Se è in California, si butta in politica.
Il suo ruolo più importante
Ottava economia del pianeta Terra, con appena 36 milioni di abitanti, la California era in quegli anni governata da un tale Gray Davis che, come diceva il nome proprio, era un grigio burocrate del Partito democratico. L’amministrazione da lui diretta aveva letteralmente portato lo Stato allo sfascio fiscale; un referendum chiedeva la sua rimozione d’ufficio. Quando Schwarzenegger si candidò al suo posto, per il Partito repubblicano, in Europa la notizia fece scandalo, ma in California no. Perché no? Era un uomo che si era fatto da solo, arrivato a Los Angeles come un qualsiasi immigrato, con una enorme forza di volontà, e aveva realizzato quello in cui tutti credevano: la possibilità di diventare ricchi con le proprie forze.
Schwarzy, nel 2003, ancora non parlava un inglese accettabile, però aveva il proprio aereo privato, fumava grossi sigari e andava in giro con due Hummer (i veicoli militari usati dall’esercito in Iraq, trasformati in Suv dalla General Motors, ndr). Stravinse, senza troppo bisogno di comizi o di dibattiti in televisione. Si era presentato sul podio con una scopa («Spazzerò via i politicanti») minacciando i politici di professione: «Guiderò i miei Hummer nei vostri nascondigli».
Vinse anche il secondo mandato, nel 2006. Il Partito repubblicano cominciò a pensare seriamente a lui come candidato presidente degli Stati Uniti. Ma era impossibile: la Costituzione americana prevede che debba essere nato negli Usa. Certo, un ritocco alla Carta, per Schwarzenegger, si poteva anche fare…
La caduta del re
Poi, con la stessa velocità con cui era arrivato al potere, la sua stella prese a declinare: si scoprì che quello che funzionava sullo schermo non funzionava nella vita reale. “Terminator”, come era soprannominato, era “Governator” solo di nome.
Secondo Jeffrey Klein, fondatore della storica rivista californiana Mother Jones: «Al tempo in cui mandarono via il governatore Davis, i californiani si consideravano degli americani eccezionali, esattamente come li aveva descritti Alexis de Tocqueville. L’eccezionalismo era diventato il nostro credo: americani benedetti da Dio, i californiani ancora di più. Quindi, quello che serviva a questo Stato era un uomo coraggioso, ottimista, pratico. Il più grave errore di Schwarzenegger è stato di crederci, a quelle baggianate; e di poter portare il bilancio in pareggio senza aumentare le tasse e senza tagliare privilegi. Con una bacchetta magica, in pratica. I californiani, così come l’hanno eletto re, altrettanto in fretta l’hanno scaricato.
Appena hanno visto che non risolveva un bel niente, nessuno, in pratica, ha avuto più paura di lui. Però è anche vero che, ora che se ne è andato, nessuno lo odia. Anzi, tanti gli riconoscono di essere stato un grande ambientalista».
Ma cosa era successo? Era successo che quello che funzionava sullo schermo non funzionava affatto nella politica reale, e in particolare in quella californiana, che è abbastanza bizantina. Per esempio, in California da 30 anni vige una tassazione delle proprietà immobiliari – la “Proposition 13” – che ha limitato moltissimo le entrate fiscali dello Stato e che andrebbe rivista. Ma non è emendabile, se non con i due terzi dei voti dell’assemblea. La sola idea di un aumento delle tasse di circolazione, o del prezzo della benzina, può segnare la fine di un uomo politico.
Trentacinque milioni di abitanti nascondono in una ventina di prigioni ben 150 mila detenuti (l’Italia, con 60 milioni di abitanti, ne ha 60 mila ed è già una cifra enorme), governati da 40 mila guardie organizzate in un potentissimo sindacato che, nel nome della “Law and order”, in un quindicennio ha portato lo stipendio della categoria da 14 a 70 mila dollari annui.
Le infermiere, 85 mila anche loro, organizzate in sindacato (questa volta di estrema sinistra) non hanno permesso a Schwarzy di risparmiare sul personale e sugli stipendi. Lo stesso hanno fatto gli insegnanti.
Così il Terminator, liberista assoluto («In economia sono un devoto di Milton Friedman»), non mise nuove tasse, non riuscì a tagliare le spese e si trovò in mezzo alla più grave recessione economica. Negli ultimi mesi del secondo mandato raggiunse un duplice obiettivo: lo stesso 20 per cento di popolarità del suo predecessore Gray Davis, e un deficit statale di 28 miliardi di dollari, il doppio di quello di Gray. Un notevole disastro politico che ora ha consegnato al nuovo governatore, lo stagionatissimo Jerry Brown, democratico, che a 74 anni conquista il suo secondo mandato.
La California però ha plasmato il Guerriero. Due dei suoi Hummer ora vanno a idrogeno e a biocarburante; il sigaro non lo fuma più; le leggi ambientali che ha varato sfidando il governo federale (riduzione delle emissioni di Co2 del 25 per cento entro il 2020, uso obbligatorio delle energie alternative – di fatto il programma di Obama, prima di Obama), faranno della California lo stato più ecologicamente attrezzato del futuro. Non ha abolito la pena di morte, ma almeno si è detto favorevole al controllo della vendita di armi. Non è contrario ai matrimoni gay. Non ha fatto alcuna crociata contro l’aborto. Ha finanziato la ricerca con le cellule staminali. Non ha sposato nessuna delle attuali campagne dei repubblicani alla Sarah Palin. Non ha rubato. Se ne va, primo ad ammettere di aver fallito in politica; ma con una certa dignità.
Il grande dilemma per lui ora è: diventare Terminator 5 o l’onesto ufficiale tedesco Nicholas von Ostermann?