Il grande libro del rock (e non solo) – 5 aprile
Le storie del rock di oggi raccontate da Massimo Cotto
di Massimo Cotto
Ehi, aspetta / ho un nuovo reclamo / ti sarò sempre debitore per il tuo inestimabile avvertimento
Heart-Shaped Box, Nirvana
1994 – muore Kurt Cobain, che ci lascia un bouquet di canzoni bellissime, la rabbia di un movimento che non voleva rappresentare ma che si identificava in lui e una drammatica e terribile lettera d’addio. Terribile perché mostra la grande intelligenza di Kurt, la profondità del suo pensiero (non sembra un biglietto d’addio, ma una dissertazione sull’impossibilità di vivere serenamente) e l’urlo lacerante ma lucido di chi è convinto di avere
davanti una sola strada: scomparire.
«Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della strada principale del punk-rock nel corso degli anni, conosciuti sin dalla mia prima introduzione all’etica, chiamiamola così, che coinvolgeva l’indipendenza e abbracciare la vostra comunità, si sono rivelati esatti. Da molti anni non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla, nel leggere e nello scrivere. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale ruggito della folla cominciare, non ha su di me l’effetto che aveva su Freddie Mercury, che sembrava amare e nutrirsi di quell’amore e di quella adorazione della sua gente. L’ho sempre ammirato e invidiato per questo. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi. Nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al cento per cento. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo. E ci sono anche riuscito, ma Dio, credetemi, non è abbastanza.
Apprezzo il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto molta gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stupido per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi, io penso semplicemente di amare troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste sensibile uomo nato sotto il segno dei Pesci che non è in grado di apprezzare ciò che ha! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo com’ero io una volta. Piena di amore e gioia, bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che quasi perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una rocker miserabile e autodistruttiva fino alla morte come sono diventato io. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ringrazio, ma è dall’età di sette anni che odio il genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile andare d’accordo ed essere empatici. Empatia! Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna passione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, Amore, Empatia.
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua così, per Frances. Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me. Vi amo. Vi amo!
Kurt Cobain.»
Sento un vento caldo sulle spalle / e il tocco di un mondo più antico
Mexican Radio, Wall of Voodoo
1954 – nasce a Barstow, in California, Stan Ridgway, fulgido esempio di come la qualità dell’arte non sempre vada di pari passo con la quantità dei dischi venduti. Stan Ridgway è infatti uno dei cantautori più creativi e originali della scena rock, sia nel primo periodo, in cui è stato alla guida dei Wall of Voodoo, sia nella fase solista. A colpire è il matrimonio tra gli stili. È come se le canzoni di Ridgway fossero un album di figurine con squadre diverse e incredibile è che le colle (o, se siete vecchi come me, le celline) siano le suggestioni alla Morricone. Ascoltare un suo disco è come vedere un film western opportunamente rivisitato. È proprio il concetto di realtà ribaltata al centro della scena. Nelle canzoni di Stan troviamo radio messicane che suonano in cento modi differenti ma mai messicane. O ritmi country che però sono stati privati della solarità tipica del country e che si trasformano in danze macabre interrotte improvvisamente da bagliori da discoteca. I testi raccontano agghiaccianti storie noir o boccaccesche come il miglior Bukowski, ma si muovono veloci come automobili sulle freeway e fanno pensare a tutto fuorché a morti e amplessi. I personaggi sono criminali, outlaws, deragliati ed emarginati, a volte anche pazzi, ma si aggirano per la storie con la serenità incosciente di una pioggia primaverile a Los Angeles. Melodie che sembrano requiem, tastiere barocche, psichedelie assortite, balletti robotici intonati dalla voce baritonale e vagamente inquietante di Stan che sembra sempre sul punto di annunciare un’imminente Apocalisse. Insomma, uno spettacolo d’arte varia assolutamente grandioso ma che, con poche eccezioni, ha venduto pochissimo.
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