La battaglia di Abidjan
Continua la battaglia d’Abidjan e non posso fare a meno di seguire attimo per attimo gli eventi di un paese a cui sono molto legato e dove appunto mi trovavo per queste ultime contestate elezioni che stanno generando l’inferno. Centinaia, migliaia di morti – non ancora quantificabili – negli scontri intercomunitari nell’ovest del paese e nell’escalation militare dell’ultima settimana. Ad Abidjan, in questo momento, sono in corso pesanti scontri a fuoco fuori del palazzo presidenziale a Cocody. Diversi amici nel paese, ne contattiamo qualcuno, fortunatamente per il momento al sicuro. Ma per quanto ancora?
Ieri, uccisa da una stray bullet una ragazza svedese della mia età che lavorava con le Nazioni Unite e condivideva l’appartamento con amici di Laura, la mia collega rumena qui a Jalingo. Con Laura abbiamo lavorato insieme proprio in Cote d’Ivoire. Eravamo a Bouaké, la capitale del nord ribelle. Cool, il nostro autista ivoriano, ha lasciato Abidjan da qualche giorno ed è andato a rifugiarsi proprio a Bouaké, roccaforte delle Forces Nouvelles, dove sicuramente è più sicuro. É con la moglie e la sua bambina, nata da appena dodici giorni. Non ha un centesimo. Contattiamo Livio, il nostro amico italiano a Bouaké: ci aggiorna sugli eventi e ci assicura che a Cool ci pensa lui. Poi domani lo stesso Livio farà i bagagli e se ne andrà a Bamako dai suoi figli italo-maliani.
Da poche ore gli elicotteri francesi della Licorne sorvolano Abidjan per proteggere i civili sottoposti e minacciati dai saccheggi e dai rastrellamenti delle forze armate e dai mercenari che si contendono la città, l’ultimo bastione di Gbagbo. Ieri sono state aperte le carceri e 6-7 mila detenuti armati sguinzagliati per le strade di Abidjan. Seminano il panico tra i civili barricati nelle proprie abitazioni. Oltre 600 internazionali hanno trovato rifugio presso la base della Licorne. Tutti quelli residenti in Plateau non possono muoversi di casa ed i soldati francesi non possono oltrepassare i due ponti sulla laguna che collegano Plateau alla zone 4. Intanto Ouattara, il presidente eletto dagli ivoriani e legittimato dalla comunità internazionale, ha decretato il coprifuoco, ma per il momento è solo fuoco, fuoco aperto e roboante. Nel quartiere residenziale di Cocody si spara ininterrottamente. Testimoni riportano del tanfo che si propaga a causa dei cadaveri sparsi in strada che vengono bruciati con l’ausilio di copertoni. Ah, Abidjan Abidjan!
Mengou, il capo di stato maggiore, é da ieri rifugiato in ambasciata sudafricana. Affi N’Guessan, Mamadou Coulibaly ed altri proches del potere incombente hanno probabilmente lasciato il paese. Le loro case già divelte e saccheggiate. L’aeroporto é sotto controllo ONU ed é stato parzialmente riaperto ieri sera al traffico per consentire agli internazionali di lasciare la Cote d’Ivoire. Gbagbo ha le ore contate, ma sta giocando tutte le sue carte fino all’ultimo. Le Forces Nouvelles sono scese dal Nord con un’operazione militarmente perfetta, che in queste ore però rischia di perdere l’effetto sorpresa. In meno di una settimana sono entrate ad Abidjan ma Gbagbo non vuole cedere il potere a nessun costo. Di dimettersi non vuole saperne e ha fatto perdere le sue tracce nelle ultime quarantott’ore. Probabilmente é nella sua residenza e fa la spola con il Palazzo presidenziale. Ultime indiscrezioni lo danno in un quartiere sua roccaforte, chissà. Di certo è con Simone, la prima moglie, quella per sempre nonostante tutte le varie concubine e altre scappatelle del (ex)presidente.
Simone, la compagna dell’esilio parigino degli anni ’80, della ribalta in patria cominciata negli anni ’90, di dieci anni di presidenza macchiata di sangue dal 2000 fino ad oggi, nella parabola discendente di un paese da sogno divenuto un incubo. Simone, la puissante dame de fer. Chissà cosa hanno deciso: la Cote d’Ivoire o la morte, aveva sempre detto il vecchio Laurent, vittima oramai della sua brama di potere divenuta ossessione e paranoia al punto che forse quasi quasi si è anche convinto di averle vinte davvero le elezioni dello scorso novembre. Ma non é così: lui le elezioni le ha perse, le ha perse lui, Simone e l’entourage più stretto, arroganti e irrispettosi della volontà e del sentimento popolare! E se invece fosse stato solo un po’ più umile e attento a certe domande di sicurezza degli ivoriani, sono convinto che le avrebbe vinte le elezioni ed oggi non staremmo ad assistere a quest’eccidio che corona dieci anni di declino per quello che era stato il paese simbolo di un modello di sviluppo all’africana e, soprattutto, dell’avanguardia culturale del continente nero. Ora cosa? Gbagbo, storico di formazione, cosa sta pensando: finire come Hitler o come Ceausescu, ci chiediamo Laura ed io? Non crediamo che opterà per l’esilio, non sarebbe da lui. E probabilmente combatterà fino all’ultimo.
Jalingo (Nigeria), 2 aprile 2011