Chi sono i ribelli libici?
Gli Stati Uniti non hanno ancora deciso se inviare armi ai ribelli che combattono contro Gheddafi
Il governo americano non ha ancora deciso se invierà armi ai ribelli libici che combattono contro Gheddafi. La Francia continua a fare pressioni in questo senso, sostenendo che solo l’arrivo di un armamentario adeguato potrà permettere agli insorti di sconfiggere definitivamente l’esercito del colonnello. Ma gli Stati Uniti non sono ancora del tutto convinti e prendono tempo.
I motivi che spingono l’amministrazione Obama alla prudenza sono principalmente due. Il primo ha a che fare col fatto che gli Stati Uniti, pur volendo sostenere la riscossa dei ribelli contro l’esercito centrale, non vogliono rischiare di essere coinvolti ulteriormente nelle operazioni militari. Dare armi ai ribelli, dicono dal Pentagono, significherebbe necessariamente anche addestrarli. Quindi inviare i propri soldati in Libia.
Il secondo dubbio ha a che fare invece con la paura che tra i ribelli possano nascondersi anche estremisti islamici legati in qualche modo ad al Qaida. Il capo delle forze NATO in Europa, James Stavridis, che da qualche giorno ha assunto il comando delle operazioni militari in Libia, ha detto che non c’è ancora la certezza che tra i ribelli non si nascondano infiltrati di al Qaida o Hamas e che questo al momento costituisce un grosso ostacolo rispetto alla possibilità di inviare armi.
Il presidente Barack Obama ieri ha detto a NBC News che la possibilità è ancora al vaglio: «Non la sto escludendo, ma non la sto neanche appoggiando. Stiamo ancora cercando di capire che intenzioni hanno i ribelli. Non perdiamo di vista che tutto questo è iniziato solo nove giorni fa». Anche il segretario di stato americano Hillary Clinton ha ribadito ieri che l’amministrazione non ha ancora preso una decisione definitiva in questo senso e ricordato che i ribelli sono ancora in gran parte un mistero per tutti: «Non sappiamo quanto vorremmo, e quanto ci aspettavamo di scoprire», ha detto ieri durante una conferenza stampa.
Il New Yorker questa settimana ha dedicato un lungo articolo all’analisi dei ribelli che stanno tornando a marciare verso ovest. Il giornalista americano John Lee Anderson ha passato le ultime settimane accanto a loro mentre avanzavano da Ajdabiya a Bin Jawad ed è abbastanza scettico sull’effettiva presenza di combattenti di al Qaida.
La maggior parte è costituita dai cosiddetti shabab, i giovani che hanno innescato le proteste di metà febbraio e diffuso la rivolta. Ci sono giovani studenti universitari (molti studiano informatica, ingegneria e medicina), disoccupati, meccanici di mezza età, commercianti. C’è anche un gruppo di persone che lavorano per aziende straniere presenti in Libia: ingegneri, costruttori, traduttori. Ci sono ex soldati, con le canne dei fucili dipinte di rosso, verde e nero – i colori della bandiera libica prima dell’arrivo di Gheddafi, che ora si vedono ovunque. E ci sono un po’ di ferventi religiosi con la barba lunga, più disciplinati degli altri. Sembra improbabile che siano lì come infiltrati di al Qaida. Ho visto che ci sono state alcune preghiere in prima linea a Ras Lanuf, ma la maggior parte dei ribelli non hanno partecipato. Un combattente zelante a Brega ha ammesso di essere uno jihadista – era un veterano della guerra in Iraq – ma ha detto che era felice del coinvolgimento degli Stati Uniti nell’intervento in Libia perché Gheddafi è un kafir, un miscredente.
Resta però la paura più grande di tutte, che nessuno dalla Casa Bianca ha ancora esplicitamente citato, ma che secondo il New York Times aleggia nei pensieri di molti in questi giorni. Durante la guerra in Afghanistan degli anni Ottanta gli Stati Uniti decisero di armare i ribelli che combattevano contro l’invasione sovietica. Qualche anno dopo quegli stessi ribelli si trasformarono nei talebani che oggi combattono contro gli Stati Uniti.