Il grande libro del rock (e non solo) – 28 marzo
Le storie del rock di oggi raccontate da Massimo Cotto: Arthur Big Boy Crudup, W. C. Handy
di Massimo Cotto
Anche papà mi ha detto / “Ragazzo, quella tipa con cui fai lo scemo / non è adatta a te”
That’s All Right, Arthur Big Boy Crudup
1984 – muore Arthur Big Boy Crudup, uno dei tanti servitori neri che, senza saperlo, spalancarono le porte ai padroni bianchi del rock and roll. Basti pensare a quella That’s All Right che Big Boy scrisse e che Elvis portò al successo, ma mentre il Re costruiva il suo regno, Crudup viveva in miseria. Personaggio vero, Arthur. Mille mestieri per sopravvivere, un solo amore (il blues) per vivere. Aveva un canto fragoroso e sguaiato, ineducato. Era arrivato tardi al blues, attorno ai trent’anni, dopo aver cantato il gospel. Impara a suonare la chitarra e decide immediatamente di amplificarla. Emigra a Chicago, si esibisce agli angoli delle strade e vive di offerte. Lo nota uno importante, Lester Melrose, lo porta in studio e cerca di dare un ordine a quella montagna di talento scomposto. All’inizio a Big Boy non pare vero, si accontenta di briciole, cede i diritti delle sue canzoni per pochi dollari, sempre meglio che vivere di carità. Poi capisce che gli altri fanno i soldi e lui è povero in canna. Chiede il giusto e, quando non gli viene dato, fugge a lavorare i campi in Virginia. Dopo sei anni viene riportato di peso in studio. È così ubriaco che, prima di iniziare le registrazioni, bisogna attendere che passi la sbornia – ma se ascoltate con attenzione Angel Child capite che non era passata del tutto. Muore sconsolato, mentre in Europa celebrano il suo talento, pensando che poteva essere un re e non lo era stato.
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Ho visto le luci della gaia Broadway / Old Market street giù a Frisco Bay
Beale Street Blues, W.C. Handy
1958 – muore W.C. Handy, il padre del blues. Era nato a Muscle Shoals, dove oggi sorgono i leggendari studi di registrazione, vicino a Florence, in Alabama. Il padre era un rigidissimo pastore protestante che considerava musica solo quella che si suonava in chiesa. Così, quando il figlio tornò a casa con una chitarra che aveva comprato con i suoi risparmi, disse: «Da cosa sei posseduto, figlio, per introdurre in casa mia uno strumento di peccato come questo?». W.C. Handy se n’era innamorato dopo averla vista esposta nella vetrina di un negozio e aveva pensato che quella sarebbe stata la sua salvezza, non solo Dio. Il padre, per assecondare la sua voglia di musica, lo iscrisse subito a lezioni di organo, che W.C. Handy presto abbandonò per la tromba. A diciotto anni entra nella sua prima big band e comincia a girare l’America. Un giorno, mentre si trova in attesa del treno in una piccola stazione ferroviaria del Mississippi, vede un ragazzo di colore che suona la chitarra in modo strano, non con le dita ma con una lama, che strofina contro le corde, accompagnando lo strano suono prodotto con lamenti della voce. W.C. Handy ripensa ai lamenti che si alzavano dalle piantagioni dove lavoravano gli schiavi e pensa che quello sia il suono adatto per mettere in musica il dolore. Da allora si dedica a quello che un giorno sarà chiamato blues, appunto lamento, sofferenza, malinconia. Nel 1912 scrive il primo brano in cui compare la parola blues, Memphis Blues. Oggi è considerato il padre fondatore del blues, venerato dai musicisti e spesso citato nelle canzoni, ad esempio nella bellissima Walking In Memphis di Marc Cohn.
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