Quelli che ce l’hanno con la Germania
La decisione di Angela Merkel di tenersi alla larga dalla guerra in Libia è molto criticata, sia all'estero che in patria
Venerdì 18 marzo, chiamata a esprimersi sulla risoluzione 1973 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Germania si è astenuta. Quel voto ha dato inizio all’intervento internazionale ai danni del regime di Gheddafi, la più importante e impegnativa operazione militare dai tempi della guerra in Iraq, e la decisione della Germania ha fatto molto discutere: negli ultimi giorni vari commentatori e politici, tedeschi e non, si sono espressi sulle ragioni e sulle conseguenze di questo approccio particolarmente cauto.
Angela Merkel è stata criticata sia da parte del suo stesso partito che dall’opposizione. L’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, esponente dei Verdi, ha scritto su un quotidiano tedesco che con questa decisione “la Germania ha perso la sua credibilità sia alle Nazioni Unite che nel Medio Oriente” e che “la speranza di ottenere un seggio permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è definitivamente sparita”. Da tempo, infatti, la Germania preme per ottenere un seggio nel luogo più rilevante della politica estera mondiale: per sé o, in alternativa, per l’Unione Europea, da ricoprire a rotazione. Secondo Klaus Naumann, ex capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, “anche l’idea di dare un seggio permanente all’Unione Europea ne viene fuori molto male”, visto che “la farsa della Germania ha minato l’idea che l’Europa possa avere una politica estera comune”. Le critiche non si sono fermate qui. Ruprecht Polenz, presidente della Commissione esteri e collega di partito di Angela Merkel, ha definito la decisione “un segnale catastrofico”. Christian Ruck, cristiano sociale del partito bavarese, alleato del cancelliere, ha detto che “l’Unione Europea sta collassando”.
Poi ci sono le critiche di analisti e giornalisti. Un esperto giornalista di guerra della ZDF ha detto di aver trovato “imbarazzante” l’essersi preso “una pacca sulla spalla dai sostenitori di Gheddafi”. Un altro giornalista della tv di Stato, la ARD, ha detto di avere avuto difficoltà a oltrepassare il confine tra Egitto e Libia quando gli egiziani si sono accorti che era tedesco, sentendosi dire “ci avete delusi”, “non abbiamo bisogno di voi”. Oggi, su Repubblica, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle risponde a molte di queste critiche e difende la posizione del suo governo: confermando, tra l’altro, il basso profilo tenuto dall’esecutivo. Se ai tempi della guerra in Iraq l’opposizione francese e tedesca all’intervento era forte e orgogliosa, in questo caso sembra che il governo tedesco stia semplicemente tentando di non farsi vedere troppo.
La Germania non si è isolata. Né nel Consiglio di Sicurezza, né nella Nato e neppure nella Ue. A livello di Unione europea, la maggioranza degli Stati membri non parteciperà all’intervento militare in Libia. Da un canto è stata decisa un’azione militare, dall’altro manca ancora un ampio embargo petrolifero, per chiudere definitivamente al dittatore il rubinetto dei soldi – questo non è coerente! […] Le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Gheddafi rappresentano una grande ingiustizia che non lascia indifferente nessuno. Il dittatore deve andarsene e rispondere dei suoi crimini. Per noi l’alternativa all’intervento militare non è l’inerzia. Ci siamo adoperati affinché venisse coinvolta la Corte Penale Internazionale. Abbiamo spinto per sanzioni severe. Prestiamo aiuti umanitari. Vogliamo embargo petrolifero e moratoria dei pagamenti, affinché il regime di Gheddafi e i suoi uomini non possano procurarsi nuovo denaro. Ma fin dall’inizio non abbiamo nascosto il nostro scetticismo verso un intervento militare. A prescindere dalle vittime ci chiediamo cosa succederebbe se gli attacchi aerei non ponessero fine dalla guerra civile. Interverremmo poi anche con truppe di terra? Il rischio dell’escalation è gestibile? Il sostegno del mondo arabo è veramente così chiaro? La risoluzione della Lega Araba non lo era, neppure le posizioni espresse dal mondo arabo dopo l’inizio dei raid lo sono. Non vi è il pericolo di suscitare l’impressione che si tratti di un intervento dell’Occidente? Cosa comporta questo per le ulteriori evoluzioni nel mondo arabo, i movimenti per la libertà e le aspirazioni di riforma negli altri Paesi del Nordafrica?
I critici di Westerwelle, però, non trovano convincenti queste spiegazioni. Innanzitutto, si legge sullo Spiegel, votare a favore della risoluzione dell’ONU non avrebbe obbligato la Germania a impegnarsi militarmente: il governo tedesco avrebbe potuto collaborare solo alla no-fly zone oppure fornire solo sostegno umanitario, pur dando il suo assenso alla missione. Inoltre, nel momento in cui è stato effettuato il voto, la Lega araba aveva dato il suo completo sostegno alla no-fly zone (e a dire il vero, dopo qualche iniziale confusione, lo ha sempre ribadito anche dopo); la risoluzione era stata presentata dal Libano; Qatar ed Emirati Arabi avevano garantito il loro sostegno.
Secondo molti, la decisione del governo Merkel avrebbe ragioni interne. Domenica, infatti, i cristianodemocratici sono attesi da una sfida elettorale molto impegnativa nelle regioni Baden-Württemberg e Rheinland-Pfalz. Così come l’incidente nella centrale di Fukushima ha fatto fare al cancelliere una significativa e rapida giravolta sulle sue posizioni sull’energia nucleare, anche il voto sulla Libia potrebbe aver risentito del momento di scarsa popolarità del governo tedesco. Secondo il New York Times, “motivata da pressioni elettorali e da una storica avversione per la guerra, il cancelliere Angela Merkel ha reso molto tesi i suoi rapporti con gli alleati nell’Unione Europea e con la NATO, facendo nascere nuovi dubbi riguardo la capacità della Germania di giocare un ruolo globale in politica estera, anche a fronte della sua crescente potenza economica. Nel loro insieme, queste decisioni dimostrano la volontà del governo tedesco di agire come fanno molti altri governi, subordinando i rapporti con le nazioni alleate agli interessi nazionali e persino a mere ragioni elettorali”.
foto: JOHANNES EISELE/AFP/Getty Images