La strage in Siria
Almeno trentasette morti negli scontri di oggi a Deera: il governo annuncia nuove riforme
di Elena Favilli
17.50 – Il governo della Siria ha annunciato che introdurrà riforme per soddisfare le richieste dei manifestanti. «Stiamo valutando la possibilità di rimuovere lo stato d’emergenza», ha detto Bushaina Shaaban, consigliere del presidente Assad «il presidente non ha mai ordinato alla polizia di sparare sulla folla». Al Jazeera ha trasmesso un servizio con alcune immagini delle proteste di oggi: il corteo dei manifestanti viene attaccato dagli spari della polizia, molte persone restano a terra.
17.30 – I morti sono già saliti a 37. La notizia è stata confermata alla Reuters da uno degli ospedali di Deraa, dove sono arrivati i corpi delle persone colpite dagli spari della polizia durante la protesta di oggi. Almeno 44 persone sono state uccise da venerdì.
13.39 – Gli aggiornamenti delle ultime ore in Siria parlano di una situazione sempre più drammatica a Deraa. La polizia è intervenuta di nuovo sparando contro i manifestanti che stavano partecipando al corteo funebre delle nove persone uccise negli scontri degli ultimi giorni. I morti accertati fino a questo momento sono quindici, ma alcuni testimoni parlano di almeno cento vittime.
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Fino a poche settimane fa, la Siria era uno tra i pochi paesi tra Medioriente e Nordafrica a essere rimasto relativamente al di fuori dai moti di protesta antigovernativi. Gli oppositori del regime avevano indetto una manifestazione per il 4 e 5 febbraio, “il giorno della rabbia”, ma non si era presentato praticamente nessuno. Negli ultimi giorni però le cose sono iniziate a cambiare e la città meridionale di Deraa è rapidamente diventata il centro delle proteste antiregime, in un paese in cui il regime è particolarmente rigido. Venerdì scorso quattro persone erano morte mentre manifestavano in strada, uccise dalla polizia che aveva iniziato a sparare contro la folla. Ieri altre quindici sono state uccise davanti alla moschea Omari, dove i manifestanti si erano raccolti dalla sera prima per organizzare la protesta.
La Siria ha 23 milioni di abitanti. È una repubblica presidenziale governata dal 1963 dal partito Ba’ath, il partito che rappresenta la maggioranza sunnita. Dal 1970 il presidente è un membro della famiglia Assad. Bashar al-Assad è diventato presidente nel 2000 dopo la morte del padre Hafiz al-Asad, che era stato a sua volta al potere per trent’anni. La Costituzione adottata nel 1973 affida ufficialmente al partito Ba’ath il ruolo di guida della società e di fatto lo riconosce come partito unico dello Stato. L’Islam non è la religione ufficiale e la costituzione garantisce libertà di culto, ma il presidente deve essere per forza musulmano. Il Presidente è anche segretario generale del partito Baʿath e capo del Fronte Progressista Nazionale, alleanza di dieci partiti ammessi dalla legge egemonizzata dal Baʿth. I suoi poteri, già enormi ai sensi della Costituzione del 1973, sono ulteriormente aumentati dal fatto che dal 1963 (l’anno in cui il Baʿath prese il potere dopo il colpo di stato) è in vigore la legge marziale, ufficialmente motivata dallo stato di guerra con Israele e dalla minaccia del terrorismo. Quello del presidente Bashar al-Assad è un regime molto autoritario, che ha sempre esercitato forti censure e tollerato a fatica qualsiasi forma di protesta.
Dalla Guerra dei sei giorni del 1967 Israele occupa le Alture del Golan, nel Governatorato di Quneitra. La Siria non ha mai riconosciuto l’annessione israeliana e fa della restituzione del Golan la condizione necessaria per la stipula di un trattato di pace. Un’altra disputa territoriale è in corso da molti anni con la Turchia per la provincia di Hatay, il cui capoluogo è Antiochia, che fu ceduta alla Turchia nel 1939 quando la Siria era ancora sotto una specie di protettorato francese. In ottimi rapporti con l’Iran, il governo di Damasco ha sempre mantenuto rapporti stabili anche con Hezbollah in Libano e con Hamas nei Territori Palestinesi ed è stato più volte accusato di avere ucciso i suoi avversari politici. A differenza dell’Egitto, che nel corso del tempo ha sviluppato una relazione molto proficua con gli Stati Uniti, la Siria ha sempre avuto rapporti molto tesi con Washington. Durante la recente crisi politica in Libano è stata più volte accusata di un possibile coinvolgimento – non ancora dimostrato – nella morte del presidente Rafiq Hariri, ucciso nel 2005.
Dopo le prime proteste in Tunisia ed Egitto, l’attuale presidente Bashar al-Assad aveva aumentato i salari e ridotto i prezzi dei beni di prima necessità sperando di disinnescare un possibile contagio. Si era anche sorprendentemente espresso a favore di una maggiore apertura nei confronti delle esigenze dei cittadini, dicendo che le proteste in corso nei paesi arabi stavano accompagnando il Medio Oriente in una «nuova epoca» e che i vari leader dovevano tenerne conto. La dura repressione con cui il governo ha deciso di intervenire negli ultimi giorni sembra però avere spezzato qualsiasi speranza di una reale apertura. Assad sostiene che la Siria ha ancora bisogno di tempo per rafforzare le proprie istituzioni e per migliorare l’educazione del suo popolo prima di aprirsi a un cambiamento così radicale come quello che c’è stato in Egitto e Tunisia, e che un’accelerazione troppo rapida degli eventi potrebbe essere solo controproducente. La reazione del governo alla crisi in corso è politicamente molto importante per i nuovi equilibri mediorientali. L’influenza di Damasco è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, man mano che il consolidarsi dei suoi rapporti con l’Iran e con organizzazioni come Hezbollah e Hamas gli hanno aperto la strada per una rinnovata influenza in Libano, Palestina e Iraq.
Il corrispondente da Damasco di Al Jazeera, Rula Amin, ha raccontato che gli scontri di ieri sono iniziati quando alcune centinaia di persone provenienti dalle città vicine sono arrivate a Deraa per unirsi ai manifestanti. La televisione di stato siriana invece ha detto che gli scontri sono stati scatenati da alcuni gruppi armati, che avrebbero attaccato un’ambulanza davanti alla moschea. E che le vittime sarebbero solo un medico, un infermiere, un poliziotto e l’autista del veicolo. Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha condannato duramente le violenze chiedendo l’apertura di un’inchiesta per chiarire quanto successo. Anche Washington è intervenuta per chiedere al governo di Damasco di mettere fine alla violenza: «Siamo molto preoccupati. Il governo siriano sta usando violenza, intimidazioni e arresti arbitrari per impedire al suo popolo di esercitare liberamente i propri diritti universali. Condanniamo queste azioni», ha detto ieri un portavoce del dipartimento di stato.