La Russia tra Putin e Medvedev
Dopo il recente diverbio sulla Libia, l'analisi dell'Economist sui due leader a un anno dalle elezioni presidenziali
Il primo ministro russo Vladimir Putin e il presidente Dimitri Medvedev non la pensano allo stesso modo sulla guerra in Libia e lo scorso 21 marzo lo hanno dimostrato chiaramente. Putin ha definito l’intervento militare un’operazione «inadeguata e difettosa» che ricorda quasi «una chiamata per una nuova crociata medievale». Secondo il primo ministro, quello della protezione della popolazione libica sarebbe semplicemente un pretesto per interferire negli affari di uno stato sovrano. Poche ore dopo le dichiarazioni di Putin, il presidente Medvedev ha deciso di dire la sua, usando un tono insolitamente duro nei confronti del primo ministro e suo mentore: «In nessuna circostanza è accettabile usare espressioni che sostanzialmente portano a uno scontro tra civiltà come “crociate”».
Dissensi tra i due leader c’erano stati anche in passato, spiegano sull’Economist, ma non era ancora accaduto che i contrasti diventassero così evidenti e pubblici. Eppure negli ultimi anni il duumvirato ha funzionato: Putin e Medvedev raccolgono insieme il 70 per cento dei consensi della popolazione e riescono a intercettare i favori di diverse fasce di età. Medvedev è quello giovanile che scrive su Twitter e pubblica articoli online, Putin è quello più tradizionalista maggiormente attaccato ai messaggi televisivi e alla costruzione del consenso sui vecchi media.
Il caso della televisione russa Channel One nelle prime ore della guerra in Libia è emblematico. L’emittente ha dato la notizia dell’inizio delle operazioni militari seguendo la linea di Putin e definendo la missione una «aggressione delle forze occidentali contro uno stato sovrano» sotto una risoluzione dell’ONU che «viola il diritto internazionale». Ventiquattro ore dopo, la linea dell’emittente è cambiata totalmente, riflettendo quanto aveva sostenuto Medvedev e criticando le parole di Putin. La colpa della guerra è diventata del dittatore Gheddafi e i servizi del telegiornale hanno iniziato a mostrare i festeggiamenti dei ribelli alla notizia dell’arrivo delle forze della coalizione militare.
È difficile dire se gli ultimi attriti tra Putin e Medvedev siano sinceri o no: se giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo, fingendo il loro governo più democratico di quello che è, o se esiste un reale confronto tra i due. Le cose saranno più chiare col passare delle settimane, visto che nel 2012 si terranno le elezioni presidenziali: non è chiaro se Medvedev si ricandiderà alla presidenza o se lo farà nuovamente Putin. L’ambizione personale di Medvedev è certamente un fattore importante ma non è l’unico, fa notare l’Economist, e alla fine persino a Putin potrebbe convenire una posizione più defilata.
Uno dei punti di forza di Medvedev per l’élite russa è la sua relazione amichevole con l’America, che è più vantaggiosa per gli affari della belligeranza di Putin. Il presidente ha poco da perdere per le posizioni prese sulla Libia (e, in generale, per volersi autoaffermare). Nel migliore dei casi potrebbe convincere Putin e i suoi consiglieri di essere arrivato a un punto in cui può agire come presidente indipendente. Nel peggiore dei casi, otterrà un po’ più di rispetto e un incarico migliore quando e se Putin si riprenderà il Cremlino. Ma in entrambi i casi, l’ultima parola spetterà a Putin.