Si può creare arte con l’arte altrui?
Richard Prince usa fotografie altrui per creare le sue opere. Ora è stato condannato
«Rifotografando la pagina di una rivista e sviluppando poi la pellicola in una camera oscura improvvisata il risultato era molto strano. Potevano essere foto mie, ma non lo erano.»
Richard Prince è un pittore e fotografo statunitense, diventato famoso per i pezzi in cui usa una tecnica definita “rifotografia” (rephotograph): lavora, con pennelli o altri materiali, su foto scattate da altri e che infine rifotografa, proponendo quest’ultima immagine risultante come opera. Famosissimo nell’ambiente artistico internazionale, le sue opere sono state esposte in molti musei prestigiosi, tra cui il Guggenheim Museum di New York, e vendute per cifre milionarie.
Man mano che la sua fama cresceva, la tecnica della rifotografia ha cominciato a infastidire i fotografi degli scatti originali, spesso “depredati” del lavoro di anni senza alcun accordo o richiesta preventiva. Finché Patrick Cariou, autore delle fotografie raccolte nel libro Yes Rasta, non gli ha fatto causa.
Il 18 marzo la corte ha giudicato Prince colpevole di violazione del copyright nei confronti di Cariou, condannandolo, tra le altre cose, a distruggere le opere in cui ha sfruttato il lavoro del fotografo: opere che erano già state vendute per oltre 10 milioni di dollari. Questo ha aperto un ulteriore dibattito nel già traboccato campo dell'”opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”: i precedenti di opere “citate” e usate in altre opere sono molti. Il Copyright Litigation Blog, che commenta la notizia, sottolinea che probabilmente la decisione della giuria è stata influenzata negativamente dalle continue dichiarazioni di Prince sull’assenza di un significato nei suoi pezzi: se però il significato è assente, probabilmente il valore delle opere aumenterà in modo rilevante in seguito alla condanna.