La figuraccia dell’Italia sulla Libia
Siamo stati gli ultimi a mollare Gheddafi quando sembrava finito e i primi a sperare che potesse tornare in sella", scrive Antonio Polito
Oggi sul Corriere della Sera Antonio Polito commenta l’atteggiamento dell’Italia di fronte ai fatti in Libia, alle rivolte prima e all’intervento dell’ONU poi. Ce n’è per tutti, sia per il governo che per l’opinione pubblica e gli intellettuali.
Ci vorrà tempo, coraggio e fortuna anche solo per tornare tra gli invitati, per riacquistare una verginità. E, come spesso accade, agli errori politici commessi dovranno por rimedio i nostri militari. Siamo stati gli ultimi a mollare Gheddafi quando sembrava finito e i primi a sperare che potesse tornare in sella con mezzi propri. E anche quando la forza delle cose, il rispetto delle alleanze occidentali e la vigilanza del Quirinale hanno costretto l’Italia a una scelta di campo, abbiamo assistito alla novità assoluta di una forza di governo che si oppone con lo sproloquio di Bossi. Mentre Berlusconi sta con la Francia, i ministri leghisti stanno con la Germania.
I maligni dicono che l’Italia comincia sempre le guerre da una parte e le finisce dall’altra. Stavolta abbiamo innovato, provando a stare sia da una parte sia dall’altra. Ancora ieri, dopo il vertice di Parigi dove il pavone Sarkozy ha sfoggiato le sue piume e ha deciso tutto da solo con Cameron e la Clinton, Berlusconi ha volato più basso che poteva, annunciando che per il momento diamo solo le basi, necessarie all’attacco vista la prossimità geografica. Mentre in realtà abbiamo già dato piena disponibilità militare alla coalizione dei willing, quindi anche gli aerei, proprio per evitare la sindrome «affittacamere» cui elegantemente aveva fatto riferimento il ministro La Russa. Spiazzati da Parigi, ora la speranza è che prima o poi l’operazione sia presa in mano dalla Nato e che questa ristabilisca ciò che i diplomatici chiamano un «equal footing» : togliendo cioè il palcoscenico alla Francia.
Naturalmente, ogni governo pensa a sé, prima di pensare alle nobili cause che lo muovono all’azione. Si dice per esempio che il presidente francese abbia mostrato tanta reattività sulla Libia per far dimenticare il lungo sonno con cui aveva assistito in Tunisia e in Egitto alla cacciata dei due amici al potere. Si dice anche che l’abbia fatto per ragioni elettorali. Dice però qualcosa della differenza tra la Francia e l’Italia il fatto che lì per risalire nei sondaggi bisogna mostrare iniziativa e capacità di azione; mentre qui si considera più remunerativo non fare e non rischiare, come il fuori onda del ministro Prestigiacomo ci ha svelato sul nucleare. Così mentre Sarkozy cambiava il ministro degli Esteri e gli intellettuali francesi guidati da Bernard Henri Lévy prendevano la guida morale del fronte interventista, da noi gli intellettuali erano troppo impegnati in polemiche sulla Rai e sull’Anm e il consolato a Bengasi l’abbiamo dovuto riaprire perché ce l’avevano bruciato per le canottiere anti-Islam di Calderoli.