Il referendum costituzionale in Egitto
Si vota oggi, ma molte forze politiche spingono per il "no" e per l'elezione di un nuovo presidente che guidi la transizione democratica
Oggi in Egitto si tiene un importante referendum costituzionale, dopo le dimissioni Hosni Mubarak dello scorso 11 febbraio. Due giorni dopo la fine della presidenza Mubarak, il Consiglio Supremo Militare ha sospeso la costituzione del paese e ha nominato un comitato di otto giuristi che hanno elaborato, in due settimane e a porte chiuse, le dieci modifiche che si voteranno oggi. I passi successivi dovrebbero essere le elezioni politiche per rinnovare i membri del parlamento e, in un secondo momento, il voto per scegliere un nuovo presidente.
I principali punti in discussione sono:
– la limitazione del mandato presidenziale, che passerebbe da quattro a due anni;
– l’obbligo per il presidente di nominare un vicepresidente entro sessanta giorni dall’elezione;
– la supervisione dell’autorità giudiziaria sulle elezioni;
– la nomina di un’assemblea costituente che scriva una nuova costituzione.
Altri quesiti riguardano la definizione delle prerogative del presidente, in particolare in rapporto al potere giudiziario.
Come racconta il quotidiano egiziano Al-Ahram, il panorama politico del paese è profondamente diviso sul voto. Mentre le forze di ispirazione islamica, con in testa i Fratelli Musulmani, consigliano ai cittadini di approvare le modifiche, i partiti e le organizzazioni laiche fanno campagna per il “no”. Ironicamente, anche i membri rimasti sulla scena del Partito Nazionale Democratico dell’ex presidente Mubarak hanno consigliato il “sì” al referendum. L’attuale Segretario Generale della Lega Araba, Amr Moussa, e l’ex presidente dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Nucleare (AIEA), i nomi che sono circolati con più insistenza come candidati alla presidenza nei giorni delle proteste, hanno manifestato la loro decisa opposizione al referendum, di cui hanno chiesto la cancellazione. A loro si sono unite diverse organizzazioni per i diritti umani, giudici e professori di diritto costituzionale.
I Fratelli Musulmani, dicono i loro oppositori, spingono per approvare le modifiche perché porterebbero ad elezioni parlamentari prima dell’elezione di un nuovo presidente. L’organizzazione islamica potrebbe così far valere la propria solida organizzazione e il radicamento tra la popolazione, ottenendo un grande numero di seggi nel nuovo parlamento e di conseguenza un grande peso nelle decisioni sul futuro prossimo del paese. Sia ElBaradei che Moussa, al contrario, premono invece perché, per prima cosa, si elegga un Presidente della Repubblica che guidi il processo di transizione verso la democrazia. Altre forze politiche laiche hanno criticato la composizione della commissione di giuristi nominata dalla giunta militare, di cui avrebbero fatto parte persone con simpatie islamiste. I quesiti referendari, inoltre, non farebbero abbastanza per intaccare gli ampi poteri presidenziali garantiti dall’attuale costituzione.
I Fratelli Musulmani respingono le accuse e dicono che intendono presentare candidati solamente nel 40% dei collegi elettorali e che non vogliono mettere in campo un candidato alle prossime elezioni presidenziali.
La giunta militare ha mantenuto il silenzio su che cosa succederà se tra i cittadini prevarrà il “no” alle modifiche. Un membro dell’attuale governo, nominato dai militari, ha detto che la giunta potrebbe approvare una “dichiarazione costituzionale” che permetta comunque al paese di andare alle elezioni. I Fratelli Musulmani fanno capire che, in caso di fallimento del referendum, il paese andrebbe incontro a grandi rischi di instabilità e a un prolungamento indefinito del governo dei militari.
Foto: un manifestante con un cartello che invita a votare “no” al referendum, durante una manifestazione di ieri a piazza Tahrir
(MAHMUD HAMS/AFP/Getty Images)