Sulle foto dello tsunami
Cosa pubblicare e cosa no
Da una settimana il Post pubblica delle selezioni delle moltissime immagini che arrivano dal Giappone: sono il racconto più efficace di cosa succede e di cosa è successo, più ancora delle dirette quotidiane con cui seguiamo lo svilupparsi degli eventi.
Ci si stanno già facendo molte riflessioni, in giro, sulla loro potenza spettacolare e letteraria, sui temi ricorrenti, sull’effetto spiazzante e inedito che hanno quelle navi a terra e quelle case nell’acqua, e tutto il resto delle categorie iconografiche che costituiscono, fino all’arrivo della neve.
Noi qualche giorno fa abbiamo raccontato delle domande che ci eravamo fatti sul rischio indiscreto di queste antologie quotidiane, dicendone qualcosa. Qualcuno ha gentilmente e rispettosamente suggerito di non pubblicarne più. Ci abbiamo pensato e ci pensiamo: mettiamo ogni giorno da parte molte fotografie che non pensiamo sia giusto siano viste, o almeno che noi non vogliamo essere responsabili di mostrare. Quelle con i morti, quelle con le sofferenze più palesi, con le persone che piangono, per non parlare di quelle con le bambole e simili. Stasera ne abbiamo tolta dalla scelta una all’ultimo controllo: era una fotografia incorniciata di un bambino tra le macerie, una bella foto (poi di ognuna di quelle di questo genere ci si chiede anche sempre quanto sia “naturale”) e significativa, ma anche troppo facile. E che suggeriva pensieri su dove fosse ora quel bambino.
Moltissimi lettori mostrano e dicono di apprezzare questo racconto per foto: e non crediamo sia voyeurismo, almeno non per la maggior parte di loro. Chi vuole vedere cose più impressionanti e suggestive ha molti altri luoghi della rete dove trovarle. Ma continuiamo a pensarci, e a stare attenti.