I referendum italiani resuscitati dal Giappone?
L'emergenza nucleare potrebbe dare una spinta decisiva ai referendum di giugno
Eventi delle dimensioni del terremoto e dello tsunami in Giappone, nella storia dell’ultimo secolo, hanno sempre avuto grandi e imprevedibili ricadute su una miriade di altre questioni. Oggi le attenzioni di tutti sono giustamente riservate all’emergenza nucleare e ai soccorsi delle popolazioni colpite dal disastro. Stanotte a questi temi si è aggiunto anche quello della botta all’economia giapponese, coi dati allarmanti dell’indice Nikkei: che non è un problema paragonabile a quello che sta accadendo in queste ore, ma di certo avrà pesanti conseguenze sul futuro del paese e anche sull’economia mondiale. Le cronache di questi giorni ci dicono anche delle proteste contro il nucleare in molti paesi del mondo, della decisione di Angela Merkel di sospendere le operazioni in alcune centrali più vecchie. Nelle prossime settimane sicuramente sentiremo di altre storie di altri angoli del mondo condizionati in un modo o nell’altro da quello che sta accadendo in Giappone. Una di queste storie riguarderà probabilmente l’Italia.
Il prossimo 12 e 13 giugno in Italia si terranno quattro referendum, promossi dall’Italia dei Valori e da alcuni movimenti. Uno propone l’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, già mutilata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale; due propongono l’abrogazione delle leggi sull’affidamento della gestione dell’acqua pubblica a soggetti privati; uno propone l’abrogazione della legge che prevede la realizzazione di centrali nucleari in Italia. Fino a pochi giorni fa, il destino di questi referendum era praticamente certo: negli ultimi quindici anni, infatti, su 24 referendum abrogativi svolti, tutti e 24 non hanno superato il quorum e sono stati quindi non validi. Oltre alla conclamata disaffezione degli italiani verso questo strumento, l’allargamento della base elettorale ai cittadini residenti all’estero ha reso particolarmente complicato il raggiungimento del quorum, specie se i maggiori partiti dell’arco politico rifiutano di fare campagna e suggeriscono agli elettori di astenersi, come è avvenuto in molte delle ultime consultazioni.
Fino a pochi giorni fa, dicevamo, perché l’emergenza nucleare in Giappone ha rimescolato le carte. È impossibile prevedere l’evoluzione della situazione nella centrale di Fukushima ma è certo che, comunque vadano le cose da quelle parti, da queste parti il dibattito sul nucleare è riaperto ed è balzato nelle prime posizioni dell’agenda politica italiana. In questo momento vede gli antinuclearisti in grande vantaggio, non fosse altro per la paura suscitata da quello che sta accadendo dall’altra parte del mondo, e se durante la campagna elettorale l’attenzione dovesse mantenersi alta il raggiungimento del quorum non sarebbe più impossibile. Anche perché, a fronte delle maggiori probabilità di arrivare al quorum, anche i partiti favorevoli al nucleare inviterebbero gli elettori ad andare a votare per far prevalere il No, piuttosto che restare a casa. La vittoria del referendum sul nucleare trascinerebbe tutti gli altri quesiti e le conseguenze politiche potrebbero essere piuttosto incisive. Così scrive oggi Stefano Folli sul Sole 24 Ore.
Se mai i tre referendum dovessero toccare il «quorum» sulla spinta psicologica del Giappone, quel giorno potrebbe costituire un nuovo inizio per il Partito democratico. Si capisce perché. Il quorum sul nucleare, e di conseguenza la vittoria dei referendari, porterebbe con sé, per effetto di trascinamento, il quorum e la vittoria sul «legittimo impedimento» (oltre che sull’acqua). Sarebbe una sorta di trionfo degli intransigenti, ben rappresentati dal duo Vendola e Di Pietro. L’estrema cautela che caratterizza Bersani e il gruppo dirigente del Pd dovrebbe fare i conti con la realtà. Non a caso un giovane come il lombardo Civati, membro della direzione e fino a qualche tempo fa stretto alleato di Matteo Renzi, ha già detto che il partito deve far sua a viso aperto la battaglia referendaria. Per non rischiare di regalare la svolta ai capi di due formazioni esterne al Pd, l’Italia dei Valori e Sinistra e Libertà. Di sicuro un nuovo «no» degli italiani al nucleare, raddoppiato dall’abolizione del «legittimo impedimento», cambierebbe il volto del centrosinistra. Renderebbe impossibile allentare il legame anche elettorale con Di Pietro e Vendola. Fin da adesso, peraltro, ci sono deboli margini per qualsiasi dialogo sulla riforma della giustizia tra il Pd e la maggioranza di governo.