Le obiezioni alla riforma della Giustizia
Cosa ne pensano le opposizioni, cosa ne pensano i magistrati
Il Consiglio dei ministri ieri ha varato un disegno di legge costituzionale di riforma della Giustizia: qui il testo integrale del provvedimento, qui invece una sua sintesi in dieci punti. Per diventare legge dello Stato, il ddl deve essere approvato in doppia lettura da entrambe le Camere. Se questa avverrà a maggioranza semplice, la legge dovrà essere poi confermata da un referendum. Se invece il ddl sarà approvato con la maggioranza dei due terzi, le norme entreranno in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
La riforma è stata approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri, quindi si può essere certi del sostegno compatto al disegno di legge da parte di PdL e Lega. L’opposizione ha invece opinioni critiche, chi in modo più radicale chi in modo più scettico, e molte di queste sono simili a quelle espresse dall’Associazione nazionale magistrati. Il suo presidente, Luca Palamara, ha detto che la legge «è una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini».
«La cosa più preoccupante di questo progetto – dice invece Pier Luigi Vigna, ex Procuratore nazionale antimafia – è la sottrazione della polizia giudiziaria alla disposizione del pubblico ministero. Così si priveranno i pm del potere di ricercare le notizie di reato, e si faranno le indagini che vorrà l’esecutivo». Palamara ha detto poi che «nessuna forma di protesta può essere esclusa, neanche le più gravi» e che il paese deve «decidere se vuole magistrati liberi di indagare su corruzione, stragi, ruberie, o se li vuole subordinati al potere politico. Se vuole, in sostanza, che tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge».
Dello stesso tono le posizioni di Pier Luigi Bersani, Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, del PD, e Antonio Di Pietro per l’Italia dei Valori, che parlano di «tentativo di assoggettare i magistrati» e di «provvedimento punitivo». Fatto salvo qualche caso, almeno stando a quanto riportano i giornali, il grosso delle obiezioni sono generali e assertive: descrivono pesanti conseguenze della riforma sulla Giustizia italiana ma non spiegano in che modo la riforma le determinerebbe. Molte opinioni a riguardo sono state espresse però nei giorni, nei mesi e negli anni scorsi, trattandosi questo di un tema piuttosto longevo nel dibattito politico italiano: sulla separazione delle carriere, sull’equilibro tra membri laici e membri togati nei CSM, sull’indirizzo dell’azione penale. Il Terzo polo ha avuto reazioni più sfumate, critico ma interessato a discutere della riforma. Solo Bocchino ha parlato di alcuni elementi di «fortissimo dissenso», relativamente alle norme sull’obbligatorietà dell’azione penale e sui poteri di ispezione consegnati al ministro della Giustizia.
Un altro tipo di obiezione, per quanto di carattere generale, si muove su un altro piano: quella di chi sostiene che, giuste o sbagliate le norme proposte dal governo, non si possa discutere di Giustizia con uno come Berlusconi in circostanze come quelle attuali. È una posizione che è stata espressa, tra gli altri, da Massimo D’Alema – «È difficile aprire qualsiasi discussione seria sulla giustizia se non è preceduta dalle dimissioni di Berlusconi» – e da Anna Finocchiaro, secondo cui «una riforma costituzionale non può nascere come figlia di un risentimento, di una vendetta. Diciassette anni di continue critiche, di attacchi ai giudici da parte di Berlusconi, hanno lasciato il segno».
Nel PD però ci sono anche voci più sfumate, che infatti si lamentano di come le dichiarazioni immediate e combattive del segretario, del capogruppo alla Camera e del capogruppo al Senato abbiano stroncato qualsiasi forma di dibattito interno. Il Corriere della Sera racconta che il segretario del PD della Camera, Roberto Giachetti, ex radicale, in Transatlantico ha detto che «non ci possiamo appiattire sulla linea Spataro. La magistratura non può decidere per noi e delegittimare così il Parlamento: andiamo a vedere le carte di Berlusconi, solo così possiamo scoprire se il suo è un bluff». Secondo il Corriere quest’opinione sarebbe condivisa dal grosso dei popolari e dei veltroniani, secondo cui «una forza politica che si vuole porre come un’alternativa di governo non va avanti a “no” pregiudiziali». La chiusura dell’articolo di Maria Teresa Meli, poi, racconta un aneddoto significativo.
Ma persino chi abbraccia la linea dura e pura di Bersani ha dei dubbi. È il caso di Lanfranco Tenaglia, responsabile della Giustizia con Veltroni segretario. A Radio Radicale ne dice di cotte e di crude. Poi a microfoni spenti sospira: «Speriamo che Berlusconi non tolga il processo breve, perché sennò siamo nei guai». Sì, perché come spiega Giachetti: «A quel punto Casini, che ha chiesto al governo di archiviare le leggi ad personam per intavolare il dialogo sulla riforma, potrà cantare vittoria e noi, che abbiamo deciso di non fare politica, resteremo all’angolo».
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