“Condannati all’irrilevanza”
Secondo Flavia Perina quelli che hanno fatto una brutta fine non sono i finiani, ma gli ex AN rimasti nel PdL
Sul Post ne avevamo scritto lo scorso novembre, parlando di “solitudine dei colonnelli” e chiedendoci con molte perplessità quale sarà il destino degli ex membri di AN che sono rimasti nel PdL, invece di seguire il loro ex leader all’interno di Futuro e Libertà. Nel frattempo sono successe un sacco di cose ma quello scenario non è cambiato: se è indubbio che i finiani hanno passato il momento più complicato della loro esperienza politica, è altrettanto vero che gli ex AN sono pressoché spariti. Oggi sul Secolo d’Italia Flavia Perina mette insieme i pezzi: nota che da tempo si passa di dare al PdL un coordinatore unico, ovviamente in quota ex Forza Italia; nota che non ci sono ex AN tra i candidati a sostituire i finiani e far parte del rimpasto di governo (se e quando questo ci sarà); nota il crescente protagonismo dei cosiddetti “responsabili”, per Berlusconi ben più preziosi.
Si ragiona e si scrive molto sul destino dei finiani, spesso con un malevolo “attenzionamento” delle loro iniziative. Emblematici molti resoconti della riunione domenicale dei quadri dirigenti di Fli all’Adriano, dove qualcuno ha inventato una sala semivuota (Il Tempo), qualcun altro una sterzata ideologica (La Stampa) ma nessuno si è preso l’incomodo di capire i nuovi paradigmi che Gianfranco Fini ha indicato ai futuristi, invitandoli a «immaginare l’Italia di domani» e a cercare risposte ai problemi della contemporaneità – la qualità della vita, l’ambiente, l’integrazione, la coesione sociale – oltre le categorie della destra e della sinistra e «i due grandi assetti conservatori del Pdl e del Pd». L’osservazione dei destrologhi sfugge invece un altro tema che a noi sembra interessante. Quale è e sarà il destino politico di quella larga fetta di destra che ha scelto di rimanere nel Pdl? Ai blocchi di partenza del congresso di fondazione gli ex An detenevano una quota anche numericamente definita del Popolo della libertà, il 30 per cento. Oltre a questo erano la sola componente del partito ad avere una leadership potenzialmente “concorrenziale” con Berlusconi e un bagaglio politico-culturale in grado di fare la differenza all’interno di un contenitore caratterizzato tutt’al più da un alto tasso di populismo. La cacciata di Fini è stata largamente determinata dall’ambizione di quell’area di annettersi la gestione della “quota An”, immaginando poi di poter raccogliere i frutti di una successione “morbida”, per cause naturali, dell’attuale presidente del Consiglio. In quanti ci hanno detto per mesi: ma chi ve lo ha fatto fare? Bastava aspettare, bastava non avere fretta… A sei mesi di distanza, non solo il progetto di gestire il 30 per cento “finiano” è franato, ma la vecchia classe dirigente di An appare progressivamente condannata alla irrilevanza.