Cinque scenari per colpire Gheddafi
Quali sono le strade che la comunità internazionale può intraprendere per fermare il regime in Libia
Il dibattito su cosa fare in Libia per fermare le violenze negli ultimi giorni ha invaso i giornali di tutto il mondo, con analisi, dibattiti, proposte, polemiche e controproposte. Com’è ovvio, non si tratta di un dibattito esclusivamente giornalistico: ministri degli esteri, presidenti e autorevoli politici di molte nazioni in queste ore hanno avanzato proposte e soluzioni. Le Nazioni Unite hanno condannato le violenze con una risoluzione e approvando una serie di sanzioni; gli Stati Uniti hanno chiesto ufficialmente a Gheddafi di farsi da parte; la maggior parte dei beni di Gheddafi all’estero è stata congelata. Nonostante questo l’esercito libico sta continuando ad attaccare e bombardare le città in mano ai ribelli. Lo scenario in Libia è già cambiato: dieci giorni fa i movimenti antigovernativi erano impegnati in manifestazioni pacifiche, oggi siamo in presenza di una guerra civile. Ogni giorno che passa senza che le violenze si fermino, diventa più concreto il ricorso a uno degli scenari che descriviamo di seguito.
Proteggere i ribelli
La NATO potrebbe inviare delle truppe nelle regioni che si sono liberate dalla dittatura, col solo incarico di proteggerle dagli eventuali attacchi di Gheddafi e porre un freno alla guerra civile. Si tratterebbe quindi di una forza di interposizione, che potrebbe fermare i combattimenti ma potrebbe contribuire a spaccare il paese in due, con una parte del paese sotto il controllo di Gheddafi e un’altra in mano ai ribelli. Inoltre, non è chiara quale dovrebbe essere la fine di questo mandato: le truppe straniere dovrebbero rimanere a protezione della regione fino a una data imprecisata.
Sostenere i ribelli economicamente e militarmente
Fino a questo momento, i ribelli hanno utilizzato armi sottratte ai depositi dell’esercito libico. Si potrebbero rifornire i ribelli delle città liberate di armi e munizioni, provvedere a un sostegno logistico e di intelligence. La strada presenta però molte insidie: in generale perché la storia insegna che rifornire militarmente una fazione nel corso di una guerra civile presenta inevitabilmente dei problemi nel lungo termine, quando la guerra finisce e non si sa in che mani finiscono le armi; in particolare perché questo potrebbe convincere Gheddafi ad avere la mano ancora più pesante e usare armi non convenzionali.
La no-fly zone e il blocco navale
Un’altra possibilità di cui si sta discutendo da giorni è l’istituzione di una no-fly zone, che potrebbe interessare l’intero paese oppure soltanto le regioni in mano ai ribelli. In questo modo Gheddafi non sarebbe in grado di bombardare i cittadini dall’alto. Si tratta di un’opzione molto meno dispendiosa rispetto a un’invasione via terra ma il rischio è che porti a pochi risultati e si risolva in un gesto simbolico, anche perché per essere svolta efficacemente richiederebbe comunque un certo spiegamento di forze. Inoltre imporre una no-fly zone non è una cosa semplice, né priva di rischi: bisogna prima neutralizzare le difese aeree di Gheddafi. L’operazione dovrebbe essere condotta dalle truppe della NATO e, stando a quanto ha detto il segretario generale, è vincolata alla decisione del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Bombardare le infrastrutture e gli aeroporti
Un’altra opzione per indebolire il regime è quella di bombardare e distruggere le infrastrutture e soprattutto gli aeroporti, in modo da impedire a Gheddafi di impiegare le forze aeree per colpire i civili. Lo ha proposto John Kerry, presidente della commissione esteri del Senato degli Stati Uniti. Sarebbe una soluzione meno impegnativa di un’invasione via terra ma sarebbe di fatto una dichiarazione di guerra e non potrebbe essere condotta senza un via libera dell’ONU.
Invasione
Per quanto sia forse l’unica strada che garantisce la deposizione del regime, un’invasione militare della Libia presenta enormi rischi e incertezze. L’operazione sarebbe molto costosa dal punto di vista economico e potrebbe causare numerose vittime sia tra i soldati che tra la popolazione. Inoltre, se porterebbe certamente alla sconfitta di Gheddafi, è del tutto incerto quello che potrebbe accadere dopo. La comunità internazionale prenderà seriamente in considerazione questa strada se la situazione in Libia dovesse precipitare: se Gheddafi iniziasse a sterminare sistematicamente i civili, se dovesse ricorrere all’uso di armi chimiche o se dovesse decidere di attaccare un paese straniero. Anche in questo caso il segretario generale della NATO ha detto che la sua organizzazione è disposta a intervenire soltanto su mandato dell’ONU, che quasi certamente non arriverà: serve infatti l’approvazione unanime dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza e sia la Cina che la Russia si sono dette contrarie a qualsiasi intervento militare. Un’altra possibilità è la costituzione di un’ampia coalizione che comprenda la NATO, la Lega Araba e l’Unione africana, a modello dell'”alleanza di volonterosi” messa in piedi da George H. W. Bush negli anni Novanta per combattere per combattere Saddam Hussein nella prima guerra del Golfo.
foto: AP Photo/Ron Edmonds