Calma a Tripoli, si combatte ancora a Brega
I ribelli chiedono che Gheddafi se ne vada per avviare le trattative
I ribelli contro il regime di Muammar Gheddafi nell’area orientale della Libia si sono riuniti ieri a Bengasi per dar vita al Consiglio nazionale libico e concordare le prossime mosse della rivolta. Durante l’incontro si è stabilito che non ci potrà essere alcuna negoziazione fino a quando Gheddafi non avrà deciso di ritirarsi dalla guida del paese. I membri del Consiglio hanno invitato la popolazione a manifestare contro il regime anche a Tripoli, la roccaforte del colonnello libico, subito dopo la preghiera del venerdì.
Il Consiglio è guidato da Mustafa Abdel-Jalil, già ministro dell’Interno del paese e passato un mese fa dalla parte dei manifestanti. «Se ci sarà una negoziazione sarà su un solo punto: come Gheddafi intende lasciare il paese o fare un passo indietro così da salvare vite umane. Non c’è nient’altro da negoziare» ha spiegato a Reuters un portavoce dell’ex ministro.
La situazione nel paese potrebbe però rimanere ancora in stallo per giorni, con le zone orientali in mano ai ribelli e l’area di Tripoli ancora sotto il controllo di Gheddafi. Secondo Kevin Connolly, l’inviato della BBC a Bengasi, al momento nessuno dei due schieramenti avrebbe le capacità militari e le risorse per affrontare uno scontro diretto decisivo, magari nelle aree desertiche del paese. Il leader libico sembra essere consapevole di questa situazione e sta cercando di trarne vantaggio, mantenendo così il potere nonostante i nuovi appelli della comunità internazionale.
Da Tripoli le notizie arrivano spesso incomplete e frammentarie, tuttavia sembra che negli ultimi giorni le forze del regime abbiano represso duramente la protesta. I sostenitori di Gheddafi, armati dallo stesso regime, avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti in più di una occasione, temendo che i gruppi di ribelli potessero riorganizzarsi per una nuova manifestazione di protesta dopo il momento della preghiera di oggi.
Alla dura repressione si aggiunge il problema umanitario, perché decine di migliaia di libici e di residenti di altre nazionalità stanno cercando di abbandonare il paese nel timore di nuove violenze e periodi di carestia. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dalla Libia sarebbero fuggite almeno 200mila persone negli ultimi giorni, cercando riparo oltre i confini con l’Egitto e la Tunisia.
Le azioni militari del regime intanto proseguono. Secondo Al Arabiya, Gheddafi avrebbe ordinato una nuova serie di bombardamenti nell’area del porto di Brega, dove si trova anche una importante raffineria di petrolio. Reuters ha cercato conferme della notizia ricevendo informazioni frammentarie. Mercoledì nella zona di Brega i manifestanti avevano respinto le forze di Gheddafi dopo una lunga e impegnativa battaglia. Centinaia di abitanti della città erano scesi per le strade con fucili e armi improvvisate per scontrarsi contro gli uomini del leader libico. La disorganizzazione era grande sui due fronti e aveva consentito ai ribelli di spuntarla, respingendo gli attacchi.
Luis Moreno Ocampo, il procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale dell’Aia, ha confermato di essere al lavoro per indagare i crimini commessi da Gheddafi e dai propri collaboratori in Libia in queste ultime settimane. La Corte ha già identificato nove casi che potrebbero configurarsi come crimini contro l’umanità, compresa l’uccisione di almeno 257 persone nell’area di Bengasi nel corso dell’ultimo mese.