I leader birmani e la magia nera
I leader della giunta militare si sono presentati con abiti femminili durante una cerimonia pubblica
Lo scorso 12 febbraio il leader della Birmania, il generale Than Shwe, si è inaspettatamente presentato vestito con abiti femminili durante una cerimonia pubblica. Con lui c’erano anche diversi altri alti ufficiali birmani, tutti membri della giunta militare che dal 1962 governa il paese e tutti vestiti con tradizionali abiti da donna. Time scrive che i motivi di una scelta così eccentrica, soprattutto considerando l’abituale riservatezza delle più alte cariche del governo birmano, sono da ricondurre all’ossessione dei leader birmani per la magia nera.
Negli ultimi trent’anni la Birmania ha sempre avuto leader devoti alla yadaya, una particolare branca della magia nera. Il generale Ne Win, che governò il paese dal 1962 al 1988, sparò più volte contro il suo riflesso nello specchio, su consiglio di un veggente, per scongiurare un presunto tentativo di omicidio. E nel 1987 la sua ossessione per la numerologia lo portò a demonetizzare tutte le banconote presenti sul mercato per poterne introdurre di nuove, tutte divisibili per il suo numero fortunato: il nove. La scelta spazzò via i risparmi di molti cittadini e contribuì a scatenare una rivolta l’anno successivo.
In questo caso gli ufficiali della giunta militare birmana avrebbero deciso di presentarsi in abiti femminili per scongiurare il potere della loro più temibile avversaria, Aung San Suu Kyi. È noto infatti che il generale Than Shwe sia circondato di numerosi maghi, di cui alcuni specializzati in previsioni legate esclusivamente alla leader dell’opposizione birmana.
Secondo Wai Moe, un giornalista di Irrawaddy, un quotidiano online scritto e diretto da oppositori birmani in esilio, la scelta di vestire abiti femminili può avere due spiegazioni. Secondo la prima ipotesi, i leader birmani si sarebbero vestiti così per assecondare una recente profezia che dice che il prossimo leader del paese sarà una donna. Secondo la seconda ipotesi invece l’avrebbero fatto per cercare di neutralizzare il potere di Aun San Suu Kyi. Dopo il brutale soffocamento della rivolta dei monaci birmani del 2007, gli attivisti politici anti-regime organizzarono una campagna che consisteva nell’inviare biancheria intima femminile ai rappresentanti della giunta militare perché a quanto pare i generali credevano che il solo contatto con questi indumenti indebolisse il loro potere. La scelta di indossare abiti da donna in quest’ottica servirebbe quindi a controbilanciare la capacità di Aun San Suu Kyi di compromettere la virilità a fondamento del loro potere.
Secondo Ingrid Jordt, studiosa di antropologia della Università del Wisconsin e specializzata sulla Birmania, la motivazione andrebbe invece cercata semplicemente nel fatto che i motivi dei sarong indossati abitualmente dalle donne birmane sono basati sugli stessi motivi degli abiti indossati dai monarchi che regnavano sulla Birmania oltre un secolo fa. Il generale Than Shwe avrebbe quindi voluto ribadire in questo modo la discendenza della sua legittimazione politica. Naturalmente nessuna di queste versioni è stata confermata dai leader birmani, che sono come d’abitudine molto restii a rilasciare dichiarazioni alla stampa. Quel che è certo è che da quando Aung San Suu Kyi è stata liberata lo scorso novembre, la morsa del regime contro di lei si sta di nuovo facendo più pressante. In seguito alle sue recenti dichiarazioni in favore di sanzioni internazionali contro il regime, un quotidiano di stato ha pubblicato un articolo anonimo in cui si avverte che «lei e i suoi sostenitori faranno una brutta fine».