Cosa sta succedendo in Wisconsin
I repubblicani hanno proposto una legge contro i sindacati che ha scatenato proteste senza precedenti
Il Wisconsin è uno stato degli Stati Uniti: sta in alto, quasi al centro, nella regione dei Grandi Laghi, tra Michigan, Illinois, Iowa e Minnesota. È uno stato tendenzialmente democratico: non una roccaforte, ma comunque uno che alle ultime sei elezioni presidenziali ha sempre scelto il candidato democratico. Alle recenti elezioni di metà mandato, però, i repubblicani hanno ottenuto una grande riscossa, conquistando la poltrona di governatore e la maggioranza sia alla Camera che al Senato statale, nonché nella delegazione al Congresso federale. L’aria è cambiata, insomma, e le decisioni della nuova maggioranza hanno creato malessere e disaccordo al punto da scatenare una protesta senza precedenti da parte dei sindacati e dei democratici, che da settimane ormai presidiano il Congresso statale e che hanno ottenuto attenzioni in tutto il mondo.
Il nuovo governatore, Scott Walker
Lo scorso novembre i repubblicani hanno eletto governatore Scott Walker, candidato con la sua piattaforma ispirata alla massima ortodossia repubblicana. In economia il programma è semplice: tagli alle tasse, tagli al welfare, massiccia riduzione del deficit pubblico. Come spesso accade per questo genere di repubblicani, però, l’ideologia della minima invadenza del governo nel mercato si accoppia a quella della massima invadenza del governo nei temi sociali. Walker è antiabortista, convinto che la legge debba negare la possibilità di abortire anche in caso di gravidanza frutto di violenza sessuale e anche nei casi in cui è a rischio la vita della madre. Sostiene che l’unica educazione sessuale che debba essere impartita agli adolescenti è l’educazione all’astinenza, pensa che i farmacisti dovrebbero poter fare obiezione di coscienza al momento di vendere dei contraccettivi, si oppone alla ricerca sulle cellule staminali embrionali e ovviamente anche ai matrimoni gay. Un repubblicano vero, insomma.
Mantenere le promesse
Alla fine di gennaio il Congresso statale approva una serie di misure che tagliano pesantemente le tasse sulle imprese per due anni. La misura ha un costo, ovviamente: il deficit dello stato – già molto grande – aumenterebbe di quasi cento milioni di dollari e arriverebbe a 3 miliardi di dollari nel 2013. Questi tagli vanno ad aggiungersi a una serie di altre misure analoghe approvate nella legislatura precedente. Walker mantiene quindi la promessa sui tagli alle tasse, ma sono misure che hanno un costo: e Walker aveva promesso anche una drastica riduzione del deficit.
Quando cominciano i guai
Passano alcune settimane e arriva il piano di Walker per la riduzione del debito. La legge prevede una serie di misure molto pesanti nei confronti degli impiegati pubblici. Il più contestato di questi è l’abolizione della contrattazione collettiva, che di fatto sancirebbe la morte dei sindacati. Ma c’è molto altro: i dipendenti pubblici sarebbero costretti a versare quasi il 6 per cento del proprio stipendio in contributi pensionistici (finora non versavano contributi) e il 12,6 per cento del proprio stipendio per l’assicurazione sanitaria, il cui costo sarebbe raddoppiato. Lo stato ammorbidirà la sua supervisione sulla modifica dei requisiti per l’accesso al programma Medicaid, l’assistenza sanitaria gratuita per le famiglie povere. Senza questi provvedimenti, ha minacciato Walker, migliaia di dipendenti pubblici dovranno essere licenziati.
Le proteste
I sindacati hanno immediatamente indetto delle manifestazioni di protesta, che in breve tempo sono state sposate anche dai democratici e hanno coinvolto migliaia di insegnanti, studenti e impiegati pubblici. Il 16 febbraio davanti al Congresso del Wisconsin i manifestanti erano almeno 30 mila. Le manifestazioni sono continuate a oltranza: il 19 febbraio erano in 70 mila, il 20 febbraio i manifestanti hanno occupato fisicamente parte dell’aula del Congresso dello stato.
La fuga dei senatori democratici
I democratici hanno deciso di opporsi al piano di Walker e fare ostruzionismo. I repubblicani hanno la maggioranza nel Senato statale, potendo contare su 19 senatori su 33. I regolamenti dell’aula prevedono però che le leggi che hanno a che fare con tasse e finanze debbano essere approvate alla presenza di almeno 20 senatori: i democratici si sono rifiutati di presentarsi in aula e hanno fatto mancare il numero legale. Attenzione, però, perché la legge permette al governatore del Wisconsin di precettare i membri del Congresso con la forza pubblica se questi con la loro assenza gli impediscono di legiferare. Per questa ragione i senatori democratici hanno lasciato il Wisconsin e si sono rifugiati in Illinois, dandosi di fatto alla latitanza. È cominciata una specie di partita a scacchi: i repubblicani allora hanno proposto una legge che prevede di presentare un documento di identità provvisto di fotografia prima di votare, il tutto col solo scopo di stanare i democratici e farli venire allo scoperto. Poi però è venuto fuori che anche quella legge richiede il quorum di 20 senatori e quindi la strategia è fallita. In questo momento la situazione è ancora in stallo: le proteste continuano, la legge è ancora in bilico.
Perché le manifestazioni contano
In primo luogo perché simili leggi sono state proposte dai repubblicani in molti altri stati, e anche le proteste sono già arrivate in Ohio e potrebbero diffondersi ancora. In secondo luogo perché dietro l’attacco ai sindacati c’è il tentativo, nemmeno troppo nascosto, di indebolire i democratici e genericamente la sinistra, riducendo il loro potere contrattuale e la loro influenza. In terzo luogo perché rimescolano gli equilibri politici in Wisconsin, uno stato che le ultime elezioni di metà mandato hanno rimesso in gioco in vista delle presidenziali. Stando ai sondaggi, l’opinione pubblica è contraria ai tagli proposti da Walker ma non vede con favore nemmeno la tattica ostruzionistica dei democratici. Il presidente Obama in passato si è schierato apertamente contro le leggi antisindacali; l’organizzazione che ha promosso la sua campagna presidenziale, Organizing for America, è tra i movimenti promotori delle proteste.