“Siamo l’opinione pubblica”
Beppe Severgnini sulla differenza tra sentire e pensare, e su Mark Twain
Sul Corriere della Sera di oggi Beppe Severgnini mette insieme un po’ di suggestioni diverse per parlare di cosa sia oggi, ai suoi occhi, l’opinione pubblica (ovvero tutti noi).
C’è un lato oscuro e complice negli italiani, recita il sottotitolo del nuovo libro di Ermanno Rea (La fabbrica dell’obbedienza, Feltrinelli). E noi ci ostiniamo a ignorarlo. Nessuno vuole sollevazioni in stile magrebino – ci mancherebbe altro! – ma un po` di sana diffidenza verso il potere, questo sì. Molti di noi, invece, si bevono tutto. Anche il giornalismo governativo, un ossimoro che non stupisce i nostri liberali tuttifrutti, ma lascia basito qualsiasi osservatore in buona fede.
Sono venute a trovarmi tre giovanotte di Rai 5. Il programma si chiama La Banda del Book e prevede una visita domiciliare con esame dei libri del padrone di casa. Le ragazze si chiamano Costanza Melani, Silvia Saraceno e Simonetta Pieroni. Andandosene, propongono tre chiuse letterarie. Io ho scelto Mark Twain. Libertà di stampa (Piano-B Edizioni) finisce così: «Non facciamo altro che sentire, e l`abbiamo confuso col pensare. E da tutto ciò si ottiene solo un aggregato che consideriamo una benedizione. Il suo nome è opinione pubblica. È considerata con riverenza. Risolve tutto. Alcuni credono sia la voce di Dio».
Brillante intuizione, quella di Mark Twain, nato Samuel Langhorne Clemens (1835-igio). Noi sentiamo (con la pancia) invece di pensare (con la testa). Sentire è un processo immediato, pensare un esercizio prolungato. La gente non ha tempo né voglia di trovare le informazioni e trarre le conclusioni. Non solo in Italia: in tutte le democrazie. La mole delle notizie affatica e disturba. E noi non vogliamo essere disturbati.
(continua a leggere sulla rassegna stampa del Governo)