Cosa ha combinato il governo con il Milleproroghe
Perché Napolitano ieri si è molto arrabbiato con il centrodestra e col governo
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato ieri una lettera al presidente del Senato, Renato Schifani, al presidente della Camera, Gianfranco Fini, e al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. La lettera fa riferimento al decreto Milleproroghe, la cui conversione in legge è stata approvata dal Senato il 16 febbraio ed è ora in discussione alla Camera, dove deve essere approvato entro il 27 febbraio. Il decreto legge, infatti, era stato approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre del 2010: se non sarà approvato entro sessanta giorni, il suo contenuto decadrà. La versione integrale della lettera di Napolitano si può leggere qui. Il capo dello Stato avanza svariate lamentele verso il comportamento tenuto dalla maggioranza nel percorso di conversione del decreto legge.
Troppo lenti
Il primo rilievo del capo dello Stato ha a che fare con la lentezza con cui le camere hanno discusso la conversione del decreto. Approvato il 22 dicembre del 2010, il decreto è stato presentato al Senato una settimana dopo, il 29 dicembre, e affidato alle commissioni riunite Affari costituzionali e bilancio soltanto il 7 gennaio 2011. L’esame in commissione è iniziato il 19 gennaio e si è concluso l’11 febbraio, con l’approvazione di 104 emendamenti. Lo stesso giorno il decreto è andato in aula, dove è stato approvato il 16 febbraio con l’approvazione di un maxiemendamento proposto dal governo, che ha posto la questione di fiducia. Morale della favola: cinquanta dei sessanta giorni previsti dalla legge se ne sono andati solo per fare approvare il decreto in Senato. Per farlo approvare alla Camera entro dieci giorni il governo sarebbe costretto ad aggirare l’esame delle commissioni, cosa indirettamente vietata dalla Costituzione.
Troppo grande
Il secondo rilievo riguarda le dimensioni mastodontiche assunte dal decreto nel corso della sua conversione. Il testo presentato al capo dello Stato a dicembre era costituito da quattro articoli, tra cui uno relativo alla copertura finanziaria e uno all’entrata in vigore della legge, più 25 commi. Il testo approvato dal Senato conta in più altri cinque articoli e 196 commi. “Molte di queste disposizioni”, scrive Napolitano, “sono estranee all’oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i princìpi e le norme della Costituzione”.
Troppo eterogeneo
Il terzo rilievo riguarda il contenuto del decreto. I decreti legge, stando a quanto stabilisce la Costituzione all’articolo 77, devono avere a che fare con casi straordinari di necessità e urgenza. Per questa ragione al suo interno avrebbero dovuto trovare posto solo le proroghe e, entro determinati paletti, “pochi e mirati interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”. Nel decreto invece è entrato di tutto, dall’aumento del prezzo dei biglietti del cinema all’aumento del fondo dell’editoria, trasformando il Milleproroghe in una specie di nuova legge Finanziaria: misure prive dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, approvate eludendo il vaglio del presidente della Repubblica. La ciliegina sulla torta è il fatto che questo pastrocchio venga approvato senza l’esame delle commissioni e ponendo la questione di fiducia.
A questo punto
Napolitano dice di essere pronto a rinviare il decreto alle camere, se questo dovesse essere approvato dalla Camera nella forma approvata dal Senato. Il capo dello Stato si dice “consapevole” che questa decisione potrebbe portare alla decadenza del decreto, visti i tempi molto ristretti, ma dice che il governo potrebbe comunque arrangiarsi: potrebbe avanzare dei nuovi decreti legge con i provvedimenti più urgenti o reiterare parti del testo originario del decreto legge. E quindi, dato anche che sarà la decima volta che muove al governo dei rilievi del genere, “non potrò d’ora in avanti rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio”. Il governo sembra intenzionato a presentare un nuovo decreto legge, contenente alcuni stralci dalla legge votata dal Senato, e quindi ricominciare l’iter da capo.