Le ultime ore in Libia
Gheddafi si è rivolto alla nazione per 22 secondi, dopo i bombardamenti su Tripoli
Al termine di una nuova giornata di durissima repressione delle proteste contro il governo, culminata in bombardamenti su Tripoli, Muammar Gheddafi si è rivolto alla popolazione attraverso la TV di stato con un breve messaggio lungo appena 22 secondi. L’apparizione è servita unicamente per smentire le voci sulla possibile fuga di Gheddafi in Venezuela circolate nel pomeriggio di ieri e per cercare di rassicurare la popolazione. Il leader libico è stato ripreso per strada, dallo sportello di un’auto, intento a reggere un ombrello.
Voglio dimostrare di trovarmi a Tripoli e non in Venezuela. Non credete alle emittenti televisive che appartengono ai cani profittatori. Avrei voluto dire qualcosa ai giovani di piazza Verde e far tardi con loro, ma è iniziato a piovere. Grazie a Dio, questa è una buona cosa.
Il messaggio di Gheddafi, conciliante e rassicurante, è in forte contrasto con la cronaca delle repressioni di ieri, che avrebbero portato alla morte di decine – forse centinaia – di persone. Le notizie che arrivano dal paese sono ancora confuse e difficili da confermare. Il regime ha sostanzialmente bloccato Internet e la rete cellulare per impedire le comunicazioni e rendere più difficile l’organizzazione delle proteste.
Stando ai racconti di numerosi testimoni, nel pomeriggio di ieri, l’aviazione avrebbe bombardato alcune aree residenziali di Tripoli dove si erano riuniti numerosi manifestanti. Una conferma sulla terribile decisione di bombardare la popolazione è arrivata anche dai piloti di due caccia libici, che sono atterrati a Malta chiedendo asilo politico dopo essersi rifiutati di sparare sui manifestanti come richiesto dagli alti comandi. Saif El Islam, il figlio di Gheddafi che era apparso l’altroieri in tv, ha sostenuto che gli attacchi aerei siano stati diretti solo contro depositi di armi e mezzi di artiglieria.
L’ammutinamento dei piloti libici non sarebbe un caso isolato. Alcuni ufficiali dell’esercito hanno chiesto ai militari di unirsi alla popolazione per protestare contro il regime di Gheddafi e la sua dura repressione delle rivolte. Il venir meno del sostegno da parte dei militari potrebbe accelerare la fine del leader libico.
Secondo l’associazione umanitaria Human Rights Watch, negli ultimi cinque giorni di proteste sarebbero state uccise almeno 233 persone. Il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha usato parole dure chiedendo un’immediata fine «all’inaccettabile spargimento di sangue» che si sta verificando in Libia. I ministri degli esteri dell’Unione Europea hanno condannato la repressione di questi giorni e chiesto una rapida transizione democratica per il paese. Dopo giorni di incertezze e di cautele, Palazzo Chigi ha rilasciato un comunicato molto misurato definendo inaccettabili le violenze sulla popolazione civile.
Oggi il Consiglio di sicurezza dell’ONU si riunirà per valutare la crisi e per assumere eventuali provvedimenti contro il governo Libico. La riunione si terrà a New York alle 9 (le 15 in Italia) e vedrà la partecipazione di Ibrahim Dabbashi, l’ambasciatore libico aggiunto presso le Nazioni Unite, che nelle ultime ore ha preso le distanze dal regime di Gheddafi come decine di altri diplomatici libici in tutto il mondo, che hanno rassegnato le loro dimissioni. Sempre oggi si terrà un meeting straordinario della Lega Araba per discutere degli ultimi sviluppi in Libia.
La situazione nel paese nelle prime ore del giorno sembra essere relativamente tranquilla sia a Tripoli che nelle altre città dove ieri ci sono state le manifestazioni, come Bengasi, ma ottenere notizie non è semplice perché il regime controlla tutti i principali canali di comunicazione. Ben Wedeman, giornalista della CNN, è riuscito da qualche ora a superare il confine tra l’Egitto e la Libia ed è il primo reporter televisivo estero a entrare nel paese da quando è scoppiata la crisi. La situazione nella parte orientale del paese sembra essere tranquilla, spiega Wedeman, che ha incontrato solo alcuni gruppi armati che hanno fermato la sua auto per controllare i documenti.
Sul confine, un uomo mi ha chiesto: «Ha visto che hanno usato gli elicotteri e gli aerei da guerra contro i manifestanti a Tripoli? Questo è genocidio.»