Otto belle canzoni di Anna Oxa
Eliminata da Sanremo al primo vocalizzo, il Post racimola i suoi meriti
Che una carriera nata a Sanremo, esplosa a Sanremo, costellata di partecipazioni a Sanremo, in mezzo a mille trasformazioni estetiche a Sanremo, passasse pure per una umiliante esclusione a Sanremo alla prima serata, stava nel percorso romanzesco delle cose. Anna Oxa non è Roberto Vecchioni, certo, ma anche lei una manciata di canzoni memorabili in curriculum ce l’ha, stando alla lista di Luca Sofri (il peraltro direttore del Post) in Playlist, La musica è cambiata.
Anna Oxa (1961, Bari)
Nella parte più recente della sua ormai longeva carriera, si è buttata sulle cover, vanamente: genere da rappresentanti di commercio all’autogrill. Se avesse trovato il coraggio, la band e l’impresario giusto, avrebbe fatto un gran bel disco unplugged, mettendo insieme la sua voce e la manciata di belle canzoni che ha cantato in tutti questi anni, minate da arrangiamenti disdicevoli e apparizioni sanremesi sopra le righe.
Un’emozione da poco (Oxanna, 1978)
“Pensare che vivrei benissimo anche senza”. Pensare che a Sanremo fece scandalo perché arrivò conciata un po’ punk (ma poi arrivò ben seconda). Che poi la canzone era punk come mia nonna Ernestina e anzi era bella (l’aveva scritta Fossati): soprattutto dove fa “no io non vedo più la realtà, né quanta tenerezza ti dà”.
Pagliaccio azzurro (Anna Oxa, 1979)
Era una canzone di Bob Seger, “Till it shines”. Il mandolino introduttivo e petulante non s’affronta, d’accordo: ma lei si porta via i versi all’altezza di certe notoriamente più grandi di lei. “Quando è duro il mio rapporto con la gioventù…”
Io no (1982)
“E un giorno nascerà un bimbo che dirà: io no!”. L’unica spiegazione all’assurdità di questo verso è che allora né lei né il paroliere Mario Lavezzi avessero mai frequentato bambini. Quelli che conosco io, dicevano “io no!” già in sala parto. Ma pazienza, il suo modo di cantare compensa l’incompetenza pediatrica: “e potrai, scaldarti pure tu…”.
Senza di me (Per sognare, per cantare, per ballare, 1983)
“Senza di me, la vita sa di fumo e di malinconia”. Era una canzone degli australiani Moving pictures, di cui qui non si accorse nessuno. La traduzione è eccellente, e lei ci mette dentro tutto quello che ha, come se fosse stata lasciata per davvero la settimana scorsa. Tolto l’arrangiamento un po’ da baraccone, è una delle più belle canzoni italiane (diciamo) di amore finito.
Eclissi totale (La mia corsa, 1984)
Anche qui il testo è scombussolato ma lei ne tira fuori dei passaggi notevoli. Quando fa “chissà, chissà perché” e quando fa “e ritornammo lentamente a respirare”.
Le tue ali (La mia corsa, 1984)
Dopo averle scritto “Eclissi totale” e “Io no”, la coppia storica di parolieri Avogadro e Lavezzi frugarono nel surgelatore per vedere che cosa le potessero dare per cena. Trovarono “Le tue ali”, che Lavezzi aveva persino cantato, nel 1976. Aveva un gran refrain, che ancora aspetta la notorietà meritata.
Parlami (Oxa, 1985)
Fu scritta dai suoi due autori migliori, Mario Lavezzi e Roberto Vecchioni. Lei è disperata per la freddezza di lui e per i suoi silenzi e gli chiede di parlarle, di dirle qualsiasi cosa, qualsiasi cosa. Fino alla notevole battuta britannica che arriva al vertice dell’escalation drammatica: “parlami del tempo”.
A lei (Oxa, 1985)
Un bel testo dedicato a quella con cui lui sta adesso, nei confronti della quale esibisce rara eleganza e discrezione: tanto che malgrado sia un tentativo di rivendicare il primato della narratrice nel cuore di lui, finisce per convincere che quella perbene e giusta sia la rivale. La scrisse Roberto Vecchioni, con Mauro Paoluzzi. Lei ci andò a Sanremo nel 1985. Lei andò a Sanremo quasi sempre, a dirla tutta.