Come aveva fatto l’Egitto a spegnere Internet
Il NYT ricostruisce le mosse delle autorità egiziane che portarono al blocco senza precedenti della Rete
Il 27 gennaio Ahmed ElShabrawy stava lavorando in ufficio quando notò che dai computer della sua società, EgyptNetwork, l’accesso a social network come Twitter e Facebook iniziava a diventare difficoltoso. Erano le prime avvisaglie del blocco senza precedenti della Rete deciso dalle autorità egiziane in vista della grande manifestazione prevista per il giorno successivo per chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak.
Nella notte tra il 27 e il 28 gennaio Internet divenne inaccessibile e così anche la rete dei telefoni cellulari: una intera nazione era tagliata fuori dalla Rete. ElShabrawy fu chiamato pochi minuti dopo il crollo di Internet da un tecnico che lo avvisava che tutte le linee della sua società erano morte. Ayman Bahaa, il responsabile della rete che mette in collegamento le università egiziane, infrastruttura che venti anni fa ha favorito la diffusione di Internet nel paese, si accorse che l’intero network era andato offline senza capire bene che cosa fosse successo.
Nei giorni successivi il governo egiziano si diede da fare per disattivare buona parte dei collegamenti verso l’esterno del paese sopravvissuti al primo grande blackout della rete. Salvo rare e isolate eccezioni, praticamente l’intero Egitto non era più in grado di ricevere e inviare email, collegarsi ai social network o leggere le notizie sui siti di informazione, spiegano James Glanz e John Markoff in un lungo articolo sul New York Times che ricostruisce quanto avvenuto nei giorni della protesta contro Mubarak.
Il blocco fu rimosso dopo cinque giorni, ma non ha consentito al presidente Hosni Mubarak di salvarsi. Tuttavia, ha attirato l’attenzione dell’intera comunità tecnologica mondiale e ha fatto nascere diverse preoccupazioni sulla possibilità che lo scontento in altre aree del Medio Oriente possa portare alcuni governi autoritari – molti dei quali già noti per aver interferito in particolari siti web e nelle email – a possedere quello che di fatto è un sistema per bloccare Internet.
Per propria natura, la Rete è fatta in modo tale da aggirare i blocchi imposti dai governi, consentendo agli utenti di usare strade secondarie per inviare e ricevere dati attraverso i loro computer, per questo motivo quanto avvenuto in Egitto ha sorpreso gli esperti di telecomunicazioni. Caduto Mubarak, in questi ultimi giorni ingegneri e tecnici hanno iniziato a ricostruire quanto accaduto lo scorso 28 gennaio. Dai primi dati sembra che le autorità egiziane siano riuscite a ottenere un risultato così esteso sfruttando diverse vulnerabilità dell’infrastruttura egiziana.
Il governo egiziano, del resto, controlla fisicamente la rete sulla quale passano i dati che circolano all’interno e verso l’esterno del paese. Come accade in numerosi paesi autoritari, in Egitto le vie di comunicazione per collegare la rete egiziana a quella globale sono poche e molto controllate. I tecnici hanno così disattivato queste vie di accesso, isolando in breve tempo buona parte della rete nazionale.
In teoria, Internet a livello interno sarebbe dovuta sopravvivere a questo colpo. Ma la chiusura ha dimostrato quanto le reti egiziane interne ricevano costantemente dati da sistemi che risiedono al di fuori del paese, compresi i servizi per le email delle società come Google, Microsoft e Yahoo; i centri dati degli Stati Uniti e gli elenchi dei siti web chiamati “domain name server”, che possono trovarsi fisicamente ovunque dall’Australia alla Germania.
Mancando l’afflusso di dati dall’esterno, la rete egiziana ha iniziato a funzionare malamente. L’infrastruttura continuava a essere in linea, ma mancandone dei pezzi non consentiva agli utenti di navigare, consultare i social network o la loro posta elettronica.
Le autorità egiziane sono anche intervenute fisicamente su alcuni sistemi per fermarli e bloccare il passaggio dei dati. Una di queste operazioni ha interessato un palazzo delle telecomunicazioni al Cairo, che si trova a meno di un chilometro di distanza da piazza Tahrir, per 18 giorni l’epicentro delle proteste contro il governo e Hosni Mubarak. In quell’edificio un tempo c’erano semplicemente dei centralini, mentre ora è pieno di strumentazioni per la gestione della rete a fibra ottica in Egitto, la spina dorsale delle comunicazioni del paese.
Il governo controlla Telecom Egypt, la società di telecomunicazioni che possiede buona parte dell’infrastruttura in fibra ottica egiziana. Le altre società che vendono le connessioni alla Rete, i provider, devono affittare i cavi dell’azienda di stato. Alle autorità è quindi bastato poco per isolare l’Egitto. Ad alcuni provider è stato anche richiesto di sbarrare la strada ai propri abbonati, come previsto dal contratto di servizio tra le società che offrono l’accesso a Internet e il governo, che può in qualsiasi momento fare questa richiesta per questioni di emergenza nazionale.
Stando ad alcune fonti che vogliono restare anonime, consultate dal New York Times, le autorità egiziane avrebbero minacciato i provider riluttanti a staccare la spina prospettando l’ipotesi di un taglio netto delle reti in fibra ottica di Telecom Egypt, procedura che avrebbe poi richiesto molto tempo e risorse per ripristinare la connettività. Molti provider non furono nemmeno avvisati della decisione drastica assunta dal governo nella notte tra il 27 e il 28 gennaio.
Come hanno ampiamente dimostrato i fatti, la decisione del governo di spegnere Internet non ha arrestato la rivolta. Forse ha complicato l’organizzazione delle manifestazioni, ma al tempo stesso ha indotto molte più persone a protestare contro il governo e le sue censure.