È stato un colpo di stato?
L'Egitto "torna alla normalità", le macchine scorrono in piazza Tahrir, ma è una specie di normalità
Il simbolo del “ritorno alla normalità” per il Cairo e per l’Egitto c’è: la smobilitazione di piazza Tahrir, il luogo che era diventato protagonista delle proteste, è quasi completamente avvenuta, riferisce la BBC: rimangono ancora solo pochi tenaci dimostranti nel traffico automobilistico che è ripreso ad attraversare la piazza. Ma altrove, la normalità è una normalità nuova per molti versi: diverse fonti riferiscono per esempio che le prospettive di nuove libertà e democrazia hanno già portato a far nascere tensioni, proteste, confronti dove prima erano state tenute a freno, soprattutto nei luoghi di lavoro dove i dipendenti chiedono paghe migliori, maggiore efficienza, nuove attenzioni nei confronti dei loro ruoli.
E la normalità è poi una normalità temporanea, che immagina di evolversi in una nuova normalità più stabile quando ci saranno state nuove elezioni e sarà stato creato un nuovo parlamento: quello vecchio è stato disciolto ieri dall’esercito, parallelamente allo sgombro di piazza Tahrir e con simile facilità. E questo porta al nodo a cui tutti girano intorno, in Egitto e nel mondo: se la rivoluzione di piazza Tahrir non si sia risolta in un colpo di stato militare. A molti commentatori internazionali piace dirlo, ed esibire un cinico distacco rispetto agli entusiasmi estesi in tutto il mondo: e di fatto, ora comandano i militari. Però di solito i militari intervengono per sedare le rivolte in supplenza dei poteri democratici, e assai più raramente per consegnare ai rivoltosi la soddisfazione delle loro richieste: la deposizione di Mubarak e la promessa di una nuova Costituzione più democratica. Ieri poi il Consiglio Supremo Militare ha incontrato alcuni gruppi di loro rappresentanti.
Questa è insomma una fase di cautela e sospetto, e di molte attese: in cosa si evolverà dipenderà molto dai tempi con cui le promesse saranno eventualmente mantenute. Che sia poi o no un colpo di stato è un dibattito sulle parole: è una cosa assai più complicata – e per ora assai più promettente dei colpi di stato a cui siamo abituati – che tiene conto di molti contesti particolari, a cominciare dai rapporti internazionali dell’Egitto. E chi, nei paesi occidentali, ha bisogno continuamente di un contesto catastrofico da evocare – l’integralismo dei Fratelli Musulmani prima, l’Iran poi, ora il colpo di Stato – può avere il passato dalla sua parte ma deve provare ad aprire un po’ di più gli occhi sul presente.