Bondi, il ministro scomparso
Mattia Feltri sulla Stampa racconta lo "strazio" e lo "squasso psicologico" di Bondi
Che tutta la storia delle contestazioni e le richieste di dimissioni al ministro dei Beni e delle Attività culturali, Sandro Bondi, avesse anche un piano di lettura umano, oltre che politico, lo avevamo scritto già lo scorso novembre, quando parlavamo di una “psicomozione di sfiducia”. Nel corso dei mesi passati da ministro, infatti, Bondi ha sempre anteposto la sua personalità ai suoi ruoli, difendendo tenacemente il lavoro della maggioranza e di Silvio Berlusconi, esibendo la propria umiltà, mettendo sul piatto della discussione pubblica tutti i propri dolori e insicurezze. I suoi colleghi lo avevano difeso come si difende il compagno di classe più debole, preso di mira ingiustamente. Bondi stesso aveva commentato la mozione di sfiducia nei suo confronti definendola “un’angosciosa mortificazione e un sentimento di profonda tristezza”.
Bondi è sopravvissuto al voto di fiducia, qualche settimana fa, ma questo non ha restituito stabilità e regolarità al suo lavoro. Recentemente si è detto nuovamente disponibile a dimettersi. Oggi Mattia Feltri sulla Stampa si occupa della questione e racconta che Bondi non si fa vedere negli uffici del ministero da quasi due mesi. Di più: da un mese Berlusconi “ha sulla scrivania la lettera di dimissioni di Bondi”, che sperava fossero accettate lunedì.
La notizia era attesa anche al Mibac con un sentimento compreso fra la smobilitazione e la liberazione. Difatti lì dentro si contano sulle dita di una mano quelli che non vogliono bene al ministro. E’ persino amato. Ma la situazione, dicono e ripetono, è ormai insostenibile. «Il premier ascolti la sua voce, lo sciolga da questo vincolo insopportabile, non sottovaluti l’urlo di dolore. Se fosse il caso, si prenda anche questo interim. Ma ricominciamo a far funzionare il dicastero», dice un altro mister X. Aggiunge che «i collaboratori sono sgomenti», che nessuno ha capito perché Bondi abbia tanto insistito per una carica da cui si è disaffezionato così presto, sino a detestarla, e sottraendola a Paolo Bonaiuti che la considerava l’approdo di un’esistenza.
Feltri parla di “squasso psicologico” e dice che, stando a quel che dicono al ministero, nella sua fase iniziale ha avuto poco a che fare con le polemiche sui crolli di Pompei e molto con il rifiuto subito da Bondi da parte del mondo degli intellettuali, che non lo ha accettato come interlocutore.
Raccontano dello strazio muto del ministro nelle occasioni in cui scriveva lunghe, ponderose, equilibrate, quasi ossequiose lettere alla Repubblica su questioni di altissima erudizione, come il significato contemporaneo della Carta costituzionale, gli obiettivi ecumenici dei centocinquant’anni dell’unità patria in una coalizione coi federalisti della Lega, e se andava bene gli scritti sbarcavano sul sito internet del quotidiano.
Quindi si è arrivati a Pompei e da lì alla mozione di sfiducia: le cose sono diventate irrecuperabili, al punto che nemmeno la vittoria nel voto parlamentare ha convinto Bondi a ricominciare, a farsi vedere. Di fatto manca solo l’assenso di Berlusconi: Bondi vuole tornare a occuparsi solo del partito.
Bondi ha deciso che con la cultura ha chiuso. Il problema è che non lo ha deciso il governo. Così il Mibac procede nella ordinaria amministrazione, con il sottosegretario Francesco Giro e il direttore generale del patrimonio culturale Mario Resca che insistono cocciuti nelle mansioni cui sono stati destinati. Lo fanno da mesi.
foto: Roberto Monaldo / LaPresse