Cameron si occupa del mondo
I commenti di Andrea Romano e Beppe Severgnini al discorso di ieri sulla "fine del multiculturalismo"
L’intervento di ieri del primo ministro britannico David Cameron sul cambio di rotta rispetto all’integrazione e al multiculturalismo riceve oggi molti commenti in tutto il mondo, tra i quali quello di Andrea Romano sul Sole 24 Ore e quello di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera.
Impantanati come siamo in un dibattito pubblico non proprio edificante, rischiamo di dimenticare che fuori dai confini italiani si continua a discutere dei temi che definiscono il profilo delle nostre comunità civili di fronte ai mutamenti globali. È quanto ci ricorda il discorso tenuto ieri a Monaco di Baviera da David Cameron. Una riflessione solo formalmente dedicata alla minaccia del terrorismo, ma in realtà un passo politico molto impegnativo sui diritti e i doveri di coloro che condividono le istituzioni di una società aperta. E insieme l’annuncio del possibile ritorno di Londra a una fase di forte attivismo democratico in campo internazionale.
Sarebbe facile riconoscere nelle affermazioni di Cameron contro «l’ideologia dell’estremismo islamico» e a favore di «un più attivo liberalismo muscolare» l’eco delle parole usate subito dopo l’11 settembre da Tony Blair. Facile ma inevitabile, soprattutto se ricordiamo con quanto impegno Cameron ha voluto distanziarsi dal predecessore soprattutto sui temi della politica estera e del contenimento del fondamentalismo. Nel suo percorso verso Downing Street il giovane leader conservatore ha insistito a più riprese sulla necessità di adottare in campo internazionale un approccio finalmente pragmatico, e dunque libero dal peso e dai condizionamenti dell’interventismo morale che il New Labour aveva impresso (secondo i suoi critici) alla politica estera di Londra.
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«Sotto la dottrina del multiculturalismo di Stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l’una dall’altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere».
Così David Cameron ieri, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.
Gli inglesi non sempre sono rapidissimi, ma ci arrivano. Il multiculturalismo – ognuno faccia ciò che vuole, basta rispettare alcune regole base di convivenza – è stato, per la Gran Bretagna, una scelta dovuta a una necessità. Come l’immigrazione di massa, conseguenza di una poderosa storia imperiale. Integrare e motivare milioni di persone diverse per etnia, storia, religione e condizione economica era un’impresa troppo grande, per un Paese uscito stremato dalla Seconda guerra mondiale.
Quando l’umore e i redditi sono migliorati, si sarebbe potuto tentare esperimenti più ambiziosi. Ma si è scelto di chiamare rispetto la rassegnazione e cautela l’impotenza. Le conseguenze si sono viste nel tempo. Gli anni Ottanta, in Gran Bretagna, sono stati costellati da incomprensioni, incidenti e imbarazzi: dalle rivolte nei quartieri-ghetto alle bimbe islamiche che pretendevano di entrare in piscina col pigiama. La rivoluzione cosmetica di Tony Blair, negli anni Novanta, ha coperto le magagne con le parole. Mentre Londra spendeva e brillava, nel resto del Paese molti staccavano la spina. Lavoro e silenzio. Questo erano pronte a offrire tante famiglie d’origine asiatica – ma non molto di più.
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