La guerra contro i pirati somali
Rapiscono ogni anno migliaia di persone e ottengono riscatti milionari, ma vanno sconfitti sulla terraferma
L’Economist di questa settimana si occupa dell’annoso problema dei pirati somali, rivelando che solo l’anno scorso le loro attività criminali lungo la costa hanno portato al rapimento di 1.181 persone. Metà di queste sono state rilasciate in seguito al pagamento di un riscatto, alcune sono morte a causa degli abusi subiti o delle pessime condizioni di prigionia e si stima che almeno 760 persone siano ancora ostaggio dei pirati.
Di solito sono tenuti prigionieri sulle loro stesse navi, alcune delle quali sono poi utilizzate come navi d’appoggio per compiere altre scorribande. Da quando è iniziato il nuovo anno, ci sono già stati 35 attacchi, in sette casi andati a buon fine. Nel mese di marzo, quando il monsone si placa e il mar Arabico si calma, la frequenza degli attacchi è destinata ad aumentare.
Negli ultimi anni il problema è andato peggiorando. Gli attacchi organizzati dai pirati contro le navi nell’area al largo delle coste della Somalia sono passati dai 35 del 2005 ai 219 dello scorso anno. E anche le cifre sborsate da privati e società per i riscatti sono aumentate considerevolmente: la media era 150mila dollari per imbarcazione nel 2005, ora siamo arrivati a una media di 5,4 milioni di dollari. Si stima che l’ammontare complessivo dei riscatti lo scorso anno abbia raggiunto il record di 238 milioni di dollari.
Jack Lang è stato ministro della cultura e dell’istruzione in Francia negli anni Novanta e ora si occupa dei pirati somali per conto delle Nazioni Unite. Stando a un suo recente rapporto, la pirateria sta diventando un problema molto serio e costoso in un’ampia area dell’Oceano Indiano. Secondo Lang il costo della pirateria ha raggiunto i 5 – 7 miliardi di dollari l’anno, per non parlare dell’alto costo di vite umane.
Nonostante l’impegno della comunità internazionale, la lotta contro i pirati somali non sta funzionando. Le autorità somale non riescono a gestire efficacemente la sicurezza dei porti lungo la costa, così i pirati non hanno alcuna difficoltà a organizzare le loro scorribande e i loro rapimenti. Venticinque paesi hanno deciso di pattugliare l’area con le loro imbarcazioni per garantire la sicurezza in mare e le leggi marittime consentono ai vascelli di trarre in arresto chi è sospetto di pirateria, ma i costi per la gestione dei pattugliamenti e le norme poco chiare impediscono di arginare il fenomeno. In nove casi su dieci i pirati che vengono catturati sono rilasciati dopo poche ore e senza multe o altre sanzioni.
Ci sono diverse proposte per risolvere il problema, ma alcune sono pessime. Mettere fuorilegge il pagamento dei riscatti sarebbe dannoso per gli stessi interessi degli ostaggi. La presenza di guardie armate sulle imbarcazioni o equipaggi addestrati per usare le armi porterebbe solamente a una risposta più violenta da parte dei pirati. Applicare la soluzione storica contro la pirateria – le punizioni esemplari – porterebbe solamente a un maggior numero di uccisioni tra gli ostaggi.
Il problema deve essere risolto sulla costa e non in mare. Quando lungo lo stretto di Malacca gli episodi di pirateria iniziarono a intensificarsi una decina di anni fa, Malesia, Indonesia e Singapore decisero di collaborare per pattugliare lo stretto, perseguire i fuorilegge e arrestare i pirati. Sulla terraferma, il governo indonesiano raggiunse poi un accordo di pace con i ribelli di Aceh, un territorio speciale indipendente dal quale provenivano buona parte dei pirati, consentendo all’area di migliorare le proprie condizioni economiche e di vita. Cosa che negli anni ha portato a una sensibile riduzione del numero di pirati.
Seguendo una politica simile anche in Somalia, il fenomeno della pirateria potrebbe essere sensibilmente ridotto. Le autorità somale dovrebbero quindi investire, magari con l’aiuto della comunità internazionale, nella formazione di nuovi guardacoste, nella costruzione di nuove infrastrutture lungo la costa e di nuovi tribunali. Le autorità dovrebbero poi perseguire i tanti signori locali che finanziano le attività dei pirati, concludono sull’Economist.
Da sola la Somalia non potrà però vincere questa battaglia a causa delle tante carenze amministrative, delle scarse risorse economiche e del caos in molte delle proprie regioni. La comunità internazionale dovrebbe quindi investire nella ricostruzione dei villaggi, nella lotta alla corruzione e nel miglioramento delle condizioni di vita delle comunità dalle quali provengono il maggior numero di pirati.