Il voto sul federalismo finisce pari

Oggi si decide la sorte di un importante decreto attuativo e forse anche dell'intera legislatura

Italian Prime Minister Silvio Berlusconi (R) gestures next to Northern league member Roberto Calderoli at the Senate prior the crucial confidence vote later in the day in the parliament on December 14, 2010 in Rome. Italy was on tenterhooks as beleaguered Italian Prime Minister Silvio Berlusconi faced a crucial confidence vote in parliament that could bring down his government. AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTE (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Italian Prime Minister Silvio Berlusconi (R) gestures next to Northern league member Roberto Calderoli at the Senate prior the crucial confidence vote later in the day in the parliament on December 14, 2010 in Rome. Italy was on tenterhooks as beleaguered Italian Prime Minister Silvio Berlusconi faced a crucial confidence vote in parliament that could bring down his government. AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTE (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Il voto in Commissione bicamerale è finito pari, quindici sì e quindici no. Equivale al parere negativo, nel senso che il decreto non passa. Il parere della commissione non è vincolante e il governo può presentare il decreto in aula.

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La Commissione bicamerale sul federalismo è riunita dalle 12,45 per votare uno dei decreti attuativi necessari all’entrata in vigore del più ampio programma di norme riassunto sotto la formula “federalismo fiscale”. In sostanza, parliamo di una riforma della distribuzione delle risorse del Paese, volta a garantire a ogni territorio – comuni, regioni – buona parte delle imposte riscosse all’interno dei suoi confini e una maggiore autonomia nel loro utilizzo. Se volete saperne qualcosa in più, la settimana scorsa abbiamo spiegato tutto per bene.

Il decreto in ballo oggi è quello sul federalismo municipale, che cancella 11,3 miliardi di trasferimenti statali ai comuni ma attribuisce ai sindaci una compartecipazione a una serie di imposte nazionali, e introduce dal 2014 due nuove imposte: l’IMU, imposta municipale unica, che comprende e sostituisce ICI e IRPEF e avrà un’aliquota del 7,6 per cento, e un’imposta municipale secondaria facoltativa. Il federalismo fiscale municipale, inoltre, permette ai comuni di introdurre una tassa di scopo per finanziare le opere pubbliche e una tassa di soggiorno per i non residenti fino a cinque euro per ogni notte in albergo. L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani ha dato il suo accordo al decreto, che è molto cambiato nelle ultime settimane per venire incontro delle esigenze dei vari soggetti coinvolti dal provvedimento: per questo, sostengono i suoi detrattori, finirà per aumentare le tasse e non per ridurle, per complicarle e non per semplificarle.

La commissione è composta da trenta membri. Quindici appartengono a PdL e Lega e voteranno sì al decreto. Tra quelli dell’opposizione, PD, UdC e Futuro e Libertà hanno annunciato da tempo che voteranno no. C’è stata qualche incertezza in più sull’Italia dei Valori, che in passato più di una volta ha votato con il centrodestra le norme sul federalismo: nelle ultime 48 ore, però, il senatore Belisario dell’IdV ha sciolto la riserva e si è unito ai suoi colleghi di opposizione. L’unica incertezza riguarda il senatore finiano Baldassarri. Questo ha presentato tre emendamenti e ha promesso di votare sì se questi saranno accolti: uno chiede che si stanzi un miliardo di euro per aiutare gli inquilini, uno vuole che i comuni partecipino ai proventi dell’IVA anziché all’IRPEF, uno propone la detrazione dell’IMU dall’IRPEF per far gravare il costo sulle casse dello Stato centrale e non sui comuni. Tremonti ha già fatto sapere che i soldi per gli inquilini non ci sono, e quindi la questione sarebbe eventualmente rimandata alla prossima finanziaria: bocciata. La seconda proposta è stata accolta: il passaggio dall’IRPEF all’IVA è stato approvato ieri all’unanimità. La terza proposta è stata bocciata.

C’è poi un altro nodo critico nel decreto, attaccato con forza soprattutto dal PD. Con il passaggio dall’ICI all’IMU, infatti, commercianti e artigiani rischiano un corposo aumento delle tasse, che potrebbero persino raddoppiare. Il PD sostiene che sia una “patrimoniale nascosta”. In sostanza, oggi l’ICI sui laboratori può variare fra il 4 e il 7 per mille – il 6 per mille è la media nazinale – e i comuni possono decidere se abbassarle ulteriomente. L’IMU, come abbiamo detto, è fissata al 7,6 per mille, con un aumento medio sull’ICI del 18,75 per cento. I sindaci, inoltre, potrebbero alzare ulteriormente l’aliquota del tre per mille. In questo modo chi oggi paga il 4 per mille di ICI rischierebbe di pagare il 10 per mille. Una prima versione del testo prevedeva che ai laboratori fosse applicata un’aliquota dimezzata, ma poi su richiesta dei Comuni il governo ha modificato il decreto.

Considerato il voto sugli emendamenti condotto in questi giorni, salvo sorprese gli schieramenti sembrano però abbastanza consolidati: quindici sì e quindici no. Dovesse finire così anche con il decreto, di fatto si tratterebbe di un voto negativo. Dal punto di vista concreto, non sarebbe un dramma: il parere della commissione non è vincolante e il governo potrebbe presentare nuovamente il decreto in aula, sia nella sua versione originaria – priva delle modifiche proposte dai Comuni – sia nella sua attuale versione. Dal punto di vista politico la partita è più delicata, visto che la Lega ripete da settimane che se salta il federalismo salta tutto e aveva puntato molto su un’approvazione a larga maggioranza, visto l’atteggiamento costruttivo avuto dall’opposizione in questi mesi.

foto: FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images