E la Siria?
Il presidente Bashar al-Assad dice che per il Medio Oriente si sta aprendo una «nuova epoca»
di Elena Favilli
Le proteste che da settimane stanno attraversando tutto il Nord Africa hanno riportato bruscamente l’attenzione sulla situazione politica dei paesi arabi. Se è certamente prematuro parlare di una rivoluzione mediorientale, come negli ultimi giorni hanno ripetuto molti analisti, è sicuramente vero che per i paesi coinvolti si potrebbe trattare dell’inizio di un lento e graduale processo di trasformazione: un cambiamento radicale, non più guidato dalla religione ma da una nuova consapevolezza politica e democratica.
Non c’è da meravigliarsi quindi che anche alcuni dei raìs più potenti abbiano già cominciato a prendere misure preventive, per evitare che la tentazione della rivolta possa contagiare anche il loro paese e mettere a repentaglio la sopravvivenza dei loro regimi. Tra questi c’è sicuramente Bashar al-Assad, attuale presidente della Siria, che in una rara intervista concessa al Wall Street Journal ha detto che le proteste di questi giorni in Egitto, Tunisia e Yemen stanno accompagnando il Medio Oriente in una «nuova epoca» e che i leader dei paesi arabi devono prepararsi a essere più accomodanti rispetto alle esigenze politiche ed economiche dei propri cittadini. Una dichiarazione che difficilmente porterà un’improvvisa impennata democratica in un paese governato da oltre trent’anni dalla stessa famiglia – e da un regime che per molti aspetti è considerato più rigido di quello egiziano e tunisino – ma che dà comunque l’idea di quanto le proteste di questi giorni vengano prese seriamente in considerazione in tutta l’area mediorientale e non siano considerate soltanto una crisi passeggera.
Che cos’è la Siria
La Siria è uno stato che confina con Turchia, Iraq, Giordania, Israele e Libano. La sua capitale è Damasco. È una repubblica presidenziale governata dal 1963 dal partito Ba’ath, il partito che rappresenta la maggioranza sunnita. Dal 1970 il presidente è un membro della famiglia Assad. Bashar al-Assad è diventato presidente nel 2000 dopo la morte del padre Hafiz al-Asad, che era stato a sua volta al potere per trent’anni. La Costituzione adottata nel 1973 affida ufficialmente al partito Ba’ath il ruolo di guida della società e di fatto lo riconosce come partito unico dello Stato. L’Islam non è la religione ufficiale e la costituzione garantisce libertà di culto, ma il presidente deve essere per forza musulmano. Il Presidente è anche segretario generale del partito Baʿath e capo del Fronte Progressista Nazionale, alleanza di dieci partiti ammessi dalla legge egemonizzata dal Baʿth. I suoi poteri, già enormi ai sensi della Costituzione del 1973, sono ulteriormente aumentati dal fatto che dal 1963 (l’anno in cui il Baʿath prese il potere dopo il colpo di stato) è in vigore la legge marziale, ufficialmente motivata dallo stato di guerra con Israele e dalla minaccia del terrorismo. Quello del presidente Bashar al-Assad è un regime molto autoritario, che ha sempre esercitato forti censure e tollerato a fatica qualsiasi forma di protesta.
Gli equilibri con i vicini
Dalla Guerra dei sei giorni del 1967 Israele occupa le Alture del Golan, nel Governatorato di Quneitra. La Siria non ha mai riconosciuto l’annessione israeliana e fa della restituzione del Golan la condizione necessaria per la stipula di un trattato di pace. Un’altra disputa territoriale è in corso da molti anni con la Turchia per la provincia di Hatay, il cui capoluogo è Antiochia, che fu ceduta alla Turchia nel 1939 quando la Siria era ancora sotto una specie di protettorato francese. In ottimi rapporti con l’Iran, il governo di Damasco ha sempre mantenuto rapporti stabili anche con Hezbollah in Libano e con Hamas nei Territori Palestinesi ed è stato più volte accusato di avere ucciso i suoi avversari politici. A differenza dell’Egitto, che nel corso del tempo ha sviluppato una relazione molto proficua con gli Stati Uniti, la Siria ha sempre avuto rapporti molto tesi con Washington. Durante la recente crisi politica in Libano è stata più volte accusata di un possibile coinvolgimento – non ancora dimostrato – nella morte del presidente Rafiq Hariri, ucciso nel 2005.
La reazione alle proteste in Egitto
Nella sua intervista al Wall Street Journal, il presidente Assad ha detto di essere certo che alla Siria non potrà mai accadere quello che sta accadendo all’Egitto perché il suo forte anti-americanismo e la sua fermezza contro Israele gli hanno guadagnato larghi consensi tra la popolazione. «Perché la Siria è stabile? Perché siamo in sintonia con i sentimenti del popolo. Dipende tutto da questo. Se c’è divergenza, allora ti devi confrontare con un vuoto che crea problemi», ha detto. Poi ha annunciato che avvierà una serie di riforme politiche mirate a garantire nuove elezioni amministrative, concedere più potere alle organizzazioni non governative e allentare la censura sui media. Dopo le proteste in Algeria e Tunisia aveva già preso alcune contro-misure tra cui l’innalzamento dei salari dei dipendenti pubblici e la riduzione dei prezzi dei beni di prima necessità. Ha comunque negato che l’entità delle sue concessioni possa avvicinarsi a quelle chieste dalla popolazione che in questi giorni sta manifestando per le strade del Cairo. Dice che la Siria ha ancora bisogno di tempo per rafforzare le istituzioni e per migliorare l’educazione del suo popolo prima di aprirsi a un cambiamento così radicale, e che un’accelerazione troppo rapida degli eventi potrebbe essere solo controproducente. «Sta per aprirsi un’epoca di maggiore caos o di maggiore istituzionalizzazione? Questa è la domanda», ha detto Assad «l’esito non è ancora chiaro».
Le prossime mosse
La reazione della Siria alla crisi in Egitto è comunque considerata politicamente molto importante per i nuovi equilibri mediorientali. L’influenza di Damasco è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, man mano che il consolidarsi dei suoi rapporti con l’Iran e con organizzazioni come Hezbollah e Hamas gli hanno aperto la strada per una rinnovata influenza in Libano, Palestina e Iraq. Rispetto alle possibilità di un accordo di pace con Israele, Assad ha detto di essere pronto al dialogo ma di non credere che l’attuale premier Benjamin Netanyahu sia disponibile come lo era il suo predecessore Ehud Olmert, con cui sostiene di essere stato molto vicino a firmare un accordo per i territori del Golan nel 2008. Con gli Stati Uniti, invece, è convinto che ci saranno ancora molti motivi di disaccordo. Negli ultimi anni Washington ha ripetutamente accusato Damasco di rifornire illegalmente Hezbollah di armi, tra cui alcuni missili a lunga gittata che potrebbero raggiungere lo stesso Israele, e ha per questo deciso di adottare sanzioni economiche contro la Siria. Assad continua a respingere le accuse, ma ribadisce anche che non acconsentirà mai alla richiesta delle Nazioni Unite di lasciare che gli osservatori dell’Agenzia per l’Energia Atomica raccolgano informazioni sul proprio programma nucleare. «Sarebbero certamente usate impropriamente», ha detto. La Siria nega che il suo programma di ricerca sul nucleare sia finalizzato alla costruzione di armi atomiche.