Guida minima al federalismo fiscale

Si apre una settimana decisiva per la legge che tiene in piedi il governo: cerchiamo di capirne di più

di Francesco Costa

Nel casino politico di questi mesi, uno dei pochi partiti ad avere una posizione stabile è stata la Lega Nord, la cui linea è: o il federalismo o le elezioni. In Parlamento l’attività legislativa del centrodestra è sostanzialmente impantanata: alla Camera la maggioranza è d’accordo su una cosa soltanto, continuare così ancora un po’, e quindi non sembra in grado di votare nulla che abbia un contenuto politico più incisivo e concreto di una semplice mozione di fiducia basata sulle ennesime promesse di buone intenzioni. L’unico progetto che rimane in piedi è il federalismo fiscale: perché la Lega ne ha fatto la condizione per la sopravvivenza di questo governo e perché in passato è stato votato anche da parte dell’opposizione. Quella che si apre oggi è la settimana decisiva per il federalismo fiscale e quindi anche per la legislatura. Vediamo quindi di capirne qualcosa in più.

Di cosa parliamo
Genericamente, l’obiettivo del federalismo fiscale è mettere in piedi una serie di norme e criteri tali da stabilire un regime di proporzionalità diretta fra le imposte riscosse in una determinata area territoriale e le imposte effettivamente utilizzate a beneficio di quell’area. Sebbene quando si parla di federalismo fiscale si utilizzino spesso dei verbi al futuro – succederà, cambierà, migliorerà, peggiorerà – parliamo di un sistema di norme che è già entrato in vigore: con la riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 e con la legge 42 del 5 maggio 2009.

La legge del 2009
Se la legge costituzionale del 2001 mette per iscritto il principio della proporzionalità diretta, la legge del 2009 ha dato maggiore concretezza a quel principio, stabilendo il coordinamento dei centri di spesa del denaro pubblico con i centri di prelievo delle tasse. Per diventare operativo, però, questo regime ha bisogno dei cosiddetti decreti attuativi: una serie di provvedimenti che stabiliscono i dettagli fondamentali della riforma, che devono essere approvati entro il 5 maggio 2011 e che si snodano nell’arco di sette anni: due per l’attuazione della legge e cinque di regime transitorio.

La legge del 2009 è stata votata da PdL e Lega, mentre PD e UdC si sono astenuti; l’Italia dei Valori ha votato con il centrodestra alla Camera e si è astenuta al Senato. Il testo introduce tutta una serie di strumenti di coordinamento e disciplina tra i vari livelli di governo, volti a premiare gli enti locali cosiddetti “virtuosi”, cioè quelli che non spendono più di quanto incassano, individuando vari indicatori di efficienza e adeguatezza a fronte dei quali si ricevono maggiori o minori risorse. Inoltre, la legge istituisce una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale; istituisce una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, come “organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica”; istituisce un Fondo perequativo, volto a ridurre le differenze nella distribuzione del denaro a vantaggio delle regioni che hanno una minore capacità fiscale per abitante; apre la strada alla costituzione delle città metropolitane nelle province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; istituisce l’ente territoriale “Roma capitale”, dando al comune di Roma speciali autonomie statutarie, amministrative e finanziarie, nei limiti stabiliti dalla Costituzione.

I decreti attuativi approvati
La Commissione parlamentare bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale fino a questo momento ha approvato tre decreti attuativi. Quello sul federalismo demaniale, votato da PdL, Lega e Italia dei Valori, che attribuisce parte del patrimonio dello Stato a comuni, province e regioni. Quello sull’ordinamento di Roma Capitale, provvisorio, che dota il comune di Roma di autonomie speciali finché non saranno disciplinate le città metropolitane. Quello sui fabbisogni standard di comuni e province, che determina il superamento della spesa storica a favore dei fabbisogni standard: se in passato, col criterio della spesa storica, le risorse venivano attribuite sulla base del denaro speso negli anni precedenti, dando quindi più soldi a chi spendeva di più e incentivando la spesa di denaro, il principio dei fabbisogni standard individua il costo efficiente dei servizi e lo fa diventare il parametro sulla base del quale determinare le risorse da distribuire.


I decreti attuativi da approvare
Ci sono poi alcuni decreti attuativi i cui schemi sono stati già approvati dal Consiglio dei ministri ma devono ancora essere approvati dalla Commissione bicamerale. Tra questi i più rilevanti sono due. Il primo è quello sul federalismo fiscale municipale, che cancella 11,3 miliardi di trasferimenti statali ai comuni ma attribuisce ai sindaci una compartecipazione del 21,7 per cento sul gettito della cedolare secca sugli affitti, una compartecipazione del 2 per cento all’IRPEF maturata sul territorio, il 30 per cento del gettito delle imposte di registro, di bollo, ipotecaria e catastale, il 50 per cento del gettito recuperato dall’evasione fiscale e il 75 per cento degli incassi derivanti dall’emersione delle case fantasma. Il decreto introduce dal 2014 due nuove imposte: l’IMU, imposta municipale unica, che comprende e sostituisce ICI e IRPEF e avrà un’aliquota del 7,6 per cento, e un’imposta municipale secondaria facoltativa. Il federalismo fiscale municipale, inoltre, permette ai comuni di introdurre una tassa di scopo per finanziare le opere pubbliche e una tassa di soggiorno per i non residenti fino a cinque euro per ogni notte in albergo. L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani ha dato il suo accordo al decreto.

Il secondo è quello sul federalismo fiscale regionale, che introduce: l’addizionale IRPEF per le regioni, dando loro la possibilità di aumentarla del 3 per cento se si riduce l’aliquota dello Stato; la riduzione dell’IRAP se l’IRPEF non aumenta; l’assegnazione di una quota dell’IVA alle regioni e la riorganizzazione di molte altre misure fiscali regionali. Ne rimangono altri tre: quello su premi e sanzioni per regioni ed enti locali, quello sull’armonizzazione dei bilanci pubblici, quello sugli interventi di coesione con i fondi europei.

L’equilibrio in commissione
La Commissione bicamerale è composta da trenta parlamentari. Al momento della sua istituzione, il centrodestra poteva contare sulla maggioranza dei membri; il rimescolamento seguito all’uscita dei finiani dal PdL ha portato la Commissione in una situazione di stallo. Oggi la maggioranza può contare su quindici parlamentari e l’opposizione può contare su altri quindici parlamentari: questo vuol dire che ogni parlamentare è determinante e da giorni girano voci su possibili assenze o astensioni strategiche da parte di membri della maggioranza o dell’opposizione. In ogni caso, dopo il voto della Commissione bicamerale i decreti dovranno passare all’esame delle commissioni bilancio e finanze dei due rami del Parlamento.

Gli schieramenti
PdL e Lega sono determinati a sostegno del sì, sebbene in queste ore qualcuno stia mostrando disillusione nei confronti del contenuto dei decreti. Futuro e Libertà e UdC sembrano orientati al no: sostengono che questi decreti attuativi – soprattutto quello sul fisco municipale – finiranno per aumentare le tasse e non per ridurle, e per sottrarre risorse al sud a vantaggio del nord. PD e IdV sono ancora guardinghi e aspettano di capire se e come saranno accolte le loro proposte e i loro emendamenti.

Il percorso da qui in poi
La Commissione bicamerale dovrà dare il suo parere giovedì 3 febbraio. In caso di pareggio, quindici a quindici, il decreto sarà considerato respinto e quindi la palla tornerà al governo, che dovrebbe riferire alle camere e riprendere in mano l’iniziativa. Questo e gli altri decreti attuativi vanno approvati entro il 21 maggio 2011, ma il deputato finiano Baldassarri ha presentato un emendamento al decreto milleproroghe per prorogare la scadenza al 31 dicembre.