Il primo qualunquemente
Filippo Ceccarelli racconta su Repubblica la storia di Guglielmo Giannini, fondatore dell'Uomo Qualunque e del qualunquismo
Trovandoci “se non altro per ragioni di assonanza” una specie di lungo filo che porta al successo attuale del film di Antonio Albanese, Qualunquemente, Filippo Ceccarelli oggi recupera su Repubblica la storia del movimento dell’Uomo Qualunque e del suo fondatore Guglielmo Giannini.
E’ proprio vero che dentro il passato, più ci si allontana e più si colgono i bagliori e le tenebre dell´oggi; come pure è vero che dagli scatoloni conservati nelle cantine spuntano spesso le sorprese dell´attualità. E allora: non si ha un´idea del tesoro di preveggente virtù e di spaventosa immondizia che viene fuori dalle carte dell´archivio di Guglielmo Giannini, fondatore di un settimanale, L’Uomo Qualunque, che nel dopoguerra arrivò a tirare fino a 850mila copie, prima di assumere la guida di un movimento che dopo essersi imposto, alla fine del 1946, più forte della Dc nell’intero Mezzogiorno, bruciò in meno di due anni tutta la sua energia per trasfigurarsi nella più sfolgorante meteora delle storia elettorale italiana.
Cartelline numerate grigie e violette, fogli ingialliti, buste e carte veline tenute assieme da spilli arrugginiti, corrispondenza privata, cartoline postali, lettere anonime o firmate con tanto di trafiletti su De Gasperi che nel 1926 apriva al fascismo o su Nenni che nel primo dopoguerra partecipò – forse – alla fondazione del fascio bolognese. C´è chi scrive a Giannini che l´Alto Commissario all´Epurazione ha messo le mani addosso alla «servetta» diciannovenne; o che l´illustre presidente della Commissione dei 75 «mangia a quattro ganasce». Smentisce Togliatti, in prima persona, di aver avuto parte nell´attentato di via Rasella. Mentre Di Vittorio è furente per certe caricature e per l´atteggiamento altezzoso di Giannini: «Cafone, figlio di cafoni, ed onoratissimo di esserlo – si congeda il più leggendario sindacalista – istruitomi come l’ho potuto, ai margini di giornate faticose di zappa o di falce, ho la soddisfazione di poter considerare con profondo disprezzo degli “aristocratici” della vostra razza»
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